• Responsabile Sezione Sustainability

    Responsabile dell’Ufficio Affari istituzionali dell’Agenzia veneta per i pagamenti, si occupa di gestione documentale, digitalizzazione in collaborazione con il Responsabile della transizione digitale e di gestione dei dati personali nella veste di coordinatrice per l’ente. Si interfaccia con il DPO e si occupa di alfabetizzazione digitale interna ed esterna e di comunicazione istituzionale.

Abstract

“I nuovi mostri” è un film corale del 1977 diretto da Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola che riflette, con umorismo tagliente e critica acuta, vari aspetti della vita sociale e politica italiana degli anni ’70. In un lontano e mutato contesto, omaggiando e prendendo spunto da questo capolavoro, l’articolo affronta alcune “mostruosità” del percorso verso la cittadinanza digitale: eccessi, sia positivi che negativi, delle imprese, delle istituzioni e degli stessi cittadini. Spunti di riflessione sulle insidie e vulnerabilità di una transizione in atto, che forse deve ancora costruire e in parte meritare la fiducia che chiede alla comunità.

È notte fonda, la stanza è immersa nel silenzio, rotto solo dal ticchettio incessante dei tasti. Marco è seduto davanti al suo PC, cuffiette sulle orecchie, profondamente concentrato a leggere le istruzioni per partecipare ad un contest online che premierà il miglior creatore di contenuti della rete. Una frenata violenta, seguita dal rumore di uno schianto, infrange la quiete. Marco solleva distrattamente lo sguardo verso la finestra, senza distoglierlo troppo dallo schermo. Un’auto è finita contro un lampione e il clacson inizia a suonare ininterrottamente. Torna alla tastiera, sedici nuovi messaggi lo attendono. I suoi post, come sempre, stanno muovendo consensi. Ma quel clacson non smette, disturbando il suo lavoro. “Qualcuno scenderà a vedere cosa è successo!”, pensa, con un misto di irritazione e disappunto. Ma sono in molti a fare lo stesso pensiero, tutti immersi nelle proprie faccende, volti illuminati dalla luce degli schermi dei propri device, mentre il clacson in strada continua a suonare.

Un racconto liberamente ispirato

Un racconto surreale? Così lontano dalla realtà su cui ci siamo incamminati? Marco, che non pensa al conducente dell’auto, perché distratto dai propri “illusori” interessi sociali è un mostro? Verrebbe da dire di sì.
Ma cos’è un mostro? Il pensiero corre veloce ad un film capolavoro di fine anni ’70, “I nuovi mostri”, diretto da Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola. In questo film, preceduto nel ’63 da “I mostri”, diretto da Dino Risi, sono raccontati i comportamenti di 14 persone che rappresentano uno spaccato dell’Italia del periodo. Racconti in cui i mostri non sono persone dai comportamenti deviati, ma uomini e donne comuni, veicolo di un’umanità stereotipata che incarna la “normalità” di un’epoca, (l’etimologia della parola monstrum deriva dal verbo “monere”, ammonire).

Sono trascorsi 47 anni dall’uscita del film, la realtà è profondamente cambiata, permeata di dati e informazioni che viaggiano veloci tessendo reti di relazioni tra le persone, le cose e lo sviluppo delle tecnologie digitali ha proiettato tutti i cittadini in una dimensione nuova, più interattiva, veloce, facile…smart.
Siamo nell’era in cui le tecnologie digitali hanno trasformato i modelli di lavoro, i sistemi educativi, la medicina, l’intrattenimento, e molti altri settori, influenzando profondamente la cultura e le dinamiche sociali. E in quest’era siamo tutti cittadini digitali, con diritti e doveri che definiscono i confini di una cittadinanza, che, grazie al supporto di una serie di strumenti (l’identità, il domicilio, le firme digitali) e servizi, mira a semplificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione (PA) tramite le tecnologie digitali.

Ma la cittadinanza digitale non riguarda solo la conoscenza tecnica delle tecnologie e delle norme, si estende anche alla comprensione delle implicazioni etiche, sociali e civiche del loro utilizzo. Racchiude quindi le competenze e i comportamenti necessari per partecipare in modo consapevole, sicuro e responsabile alla vita online e all’uso delle attuali tecnologie, per vivere e agire in modo appropriato e etico nel mondo digitale. In questo contesto, se Monicelli, Risi e Scola dovessero raccontare l’era digitale, quali nuovi mostri (moniti) sceglierebbero?

I “nuovi mostri” dell’era digitale

Osservando il comportamento dei cittadini del 2024 emerge una società sempre più frammentata e ossessionata dall’apparenza e dal giudizio degli altri, immersa nell’illusoria convinzione di una socialità feticcio, che veicola informazioni segmentate e spesso autoreferenziali, e di mirabolanti soluzioni tecnologiche in grado di risolvere tutti i problemi. La rete ospita una miriade di personaggi, più o meno alienati e alienanti. Naviga, ad esempio, il narcisista, ossessionato dalla propria immagine online, che filtra i vari momenti della sua vita attraverso la lente dei social, condividendo un’identità che si nutre dei like e senza i quali rischierebbe di sgretolarsi.
L’influencer[1], che sfrutta il potere che i social media possono dare, vendendo prodotti, stili di vita e idee, forse senza crederci nemmeno, e alimentando un ciclo di consumismo e superficialità. Il giudice, che, nascondendosi dietro l’anonimato della rete, usa le piattaforme digitali per criticare, denigrare e condannare chiunque non rispetti i suoi standard, morali o estetici che siano. Il soldato della disinformazione, che vive all’interno di una bolla informativa di cui ignora l’esistenza, alimentato solo dalle notizie e dai pregiudizi confermati dalle sue fonti di notizie. Il detective, che, sfruttando la tecnologia, invade la privacy altrui trovando e collegando le informazioni che le persone, conosciute o meno, disseminano in rete, per scoprirne la vita e le abitudini.

Se spostiamo lo sguardo dai fruitori del mondo digitale a coloro che detengono il potere sugli strumenti digitali, emergono figure altrettanto inquietanti. Questi nuovi mostri sono spesso invisibili, ma hanno un impatto profondo e pervasivo sulla società. Rappresentano il lato oscuro del potere digitale, mostrando come il controllo delle piattaforme e dei dati possa essere usato per fini personali e come la tecnologia possa essere piegata per manipolare, sfruttare e dividere, con conseguenze profonde per la società.

Troviamo il manipolatore, che sfrutta gli algoritmi delle piattaforme digitali per manipolare ciò che le persone vedono e come si comportano, senza preoccuparsi dell’etica o delle conseguenze sociali, ma solo di massimizzare profitti e potere. Il creatore di bolle, che crea e rinforza le camere dell’eco dove le persone sentono solo ciò che conferma le loro opinioni preesistenti, creando dinamiche che dividono e conquistano attraverso la disinformazione e la polarizzazione. Il sorvegliante, che monitora costantemente le attività online delle persone, raccogliendo dati senza che gli utenti ne siano consapevoli: traccia e analizza ogni movimento per prevedere comportamenti futuri, vendere prodotti o addirittura manipolare le decisioni degli utenti. Il venditore di privacy[2], che monetizza i dettagli della vita degli utenti, che non sono più clienti, ma prodotti. Il pifferaio, che usa la tecnologia per incantare le masse, guidandole dove vuole: utilizza i social media e le piattaforme digitali per manipolare l’opinione pubblica, diffondere ideologie o incitare all’azione.

Ma la stessa pubblica amministrazione, terzo elemento di questo triangolo di attori che danno vita alla cittadinanza digitale, non è esente da comportamenti distorsivi.

Ne è un esempio la burocrazia digitale, circolo vizioso in cui sono cadute molte amministrazioni che non hanno capito che l’informatizzazione senza una semplificazione reale può rendere la burocrazia ancora più distante e alienante, intrappolando i cittadini in processi amministrativi interminabili, confusi e a volte insensati. Nonostante la spinta verso la digitalizzazione, la PA può diventare inaccessibile[3] per chi non ha le competenze o le risorse necessarie per interagire con le nuove tecnologie, creando un nuovo tipo di esclusione sociale, dove chi non è “digitalmente alfabetizzato” è tagliato fuori dai servizi essenziali. Ricordiamo che l’alfabetizzazione informatica dei cittadini è un dovere che il CAD (codice dell’amministrazione digitale) pone in carico delle amministrazioni. La PA incompetente[4], composta da personale non correttamente formato sui cambiamenti digitali che impone a cittadini e imprese e senza responsabili qualificati a gestire la transizione tecnologica. La PA nascosta, che, nonostante la digitalizzazione, utilizza processi complessi, portali malfunzionanti e una comunicazione inefficace, che possono mantenere o addirittura aumentare l’opacità del funzionamento pubblico.

Abbiamo più fiducia nella PA o nelle imprese?

Questi comportamenti/situazioni esistono, li osserviamo usufruendo dei servizi, pubblici e privati, della rete e generano una certa inquietudine che, a seconda del grado di consapevolezza di ciascuno, può minare la fiducia nei confronti della tecnologia.

Possiamo avere fiducia nella tecnologia? O forse è meglio chiederci: possiamo avere fiducia nell’utilizzo che si fa della tecnologia? Perché non è lo strumento tecnologico in sé (la rete, le applicazioni informatiche) a determinare l’uso che ne viene fatto, in quanto esso è semplicemente un mezzo per raggiungere delle finalità, che a volte però, complice l’incredibile potenza dei mezzi digitali, possono essere distorte. Pertanto, riveste un ruolo centrale la gestione di questi strumenti, nell’ottica di garantire alcuni diritti imprescindibili, quali accesso e inclusione, alfabetizzazione, sicurezza e privacy, comportamento etico e rispetto, partecipazione civica e sociale, responsabilità.

Osservando quanto accade nell’utilizzo dei servizi in rete, sembrerebbe esistere una differenza nel grado di fiducia che l’utente ripone nel servizio erogato dalle imprese (ad esempio le grandi aziende che vengono indicate con l’acronimo GAFAM, Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft, tra le più grandi e influenti al mondo, sia in termini di capitale di mercato che di impatto sulla società e sull’economia globale) rispetto ai servizi erogati dalla PA, con conseguente maggiore propensione a tollerare le distorsioni/mostruosità dei primi rispetto a quelle dei secondi.

La spiegazione non sembra risiedere nel presidio normativo, in quanto la tutela dei diritti degli utenti/cittadini esiste da diversi anni e consta di norme nazionali ed europee i cui principi disciplinano i rapporti dei cittadini sia nei confronti della PA che delle imprese. Solo per citarne alcuni fondamentali, con riferimento al rapporto cittadini-PA possiamo ricordare la Costituzione Italiana, il CAD – Codice dell’Amministrazione digitale (Decreto Legislativo n. 82/2005, testo costantemente aggiornato dal legislatore, da ultimo nel 2024), la Legge n. 241/1990  che detta nuove norme sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti, il Decreto Legislativo n. 33/2013 in materia di trasparenza nella PA, il Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione dei Dati (GDPR).

E altrettante norme disciplinano il rapporto cittadino-imprese: oltre al GDPR, possiamo citare, tra le altre, il Regolamento (UE) 2022/2065 relativo a un mercato unico dei servizi digitali (Digital Service Act), il Regolamento (UE) 910/2014, (eIDAS, modificato dal Regolamento (UE) 2024/1183, cosiddetto eIDAS2), la Direttiva Direttiva (UE) 2016/1148 (NIS, aggiornata dalla Direttiva (UE) 2022/2555, NIS2, entrata in vigore il 17 gennaio 2023).

Questa apparente differenza nel grado di fiducia e tolleranza sembra dipendere da una combinazione di aspettative diverse, percezioni di potere, fascino dell’innovazione, ed immediatezza dell’esperienza personale.

L’aspettativa nei confronti della PA, istituzione che dovrebbe servire l’interesse pubblico in modo equo e trasparente, è molto alta. Quando la PA fallisce, soprattutto in un contesto di digitalizzazione, genera un forte senso di frustrazione perché i cittadini ritengono di avere il diritto di ricevere servizi pubblici efficienti e accessibili, a fronte di un costo che sanno di contribuire a sostenere. Le grandi aziende tecnologiche, invece, sono viste come entità potenti che operano su scala globale, verso le quali non si può esercitare un controllo e quindi influenzarne realmente il comportamento.

Senza contare che il modello di business delle grandi aziende tecnologiche spesso nasconde il costo reale per l’utente. Ad esempio, i servizi apparentemente gratuiti come i social media, le app di ricerca e le piattaforme di streaming mascherano il fatto che l’utente sta in realtà “pagando” con i propri dati personali. Tuttavia, poiché questo costo non è immediatamente percepibile, le persone sono meno inclini a sentirsi tradite o insoddisfatte quando qualcosa va storto.

Inoltre, le aziende come i GAFAM sono spesso associate a innovazione, convenienza e progresso. Nonostante i difetti, molti utenti continuano a percepire i servizi offerti da queste aziende come indispensabili e spesso estremamente utili nella vita quotidiana, oltreché molte volte associati all’intrattenimento. Come scrive la Professoressa Sandra Gasparini nella prefazione a La invencion del Morel di Adolfo Bioy Casares[5] “La scienza e la tecnologia rivelano la solitudine dell’essere umano che vive in un mondo che si riempie di simulacri prodotti in serie per soddisfare desideri altrettanto costruiti”. E questa fascinazione tecnologica può mitigare la percezione dei lati negativi. Al contrario, la PA, nonostante gli sforzi di digitalizzazione, è spesso associata a burocrazia, lentezza e inefficienza, cosa che rende i suoi errori più pesanti.

Senza contare che le grandi aziende tecnologiche sono abili nel gestire la propria immagine pubblica, investendo enormi risorse in marketing e relazioni pubbliche per mantenere una reputazione positiva nonostante le critiche. La PA, dal canto suo, spesso non gode dello stesso livello di controllo narrativo e i suoi errori sono amplificati dai media e dal discorso pubblico senza il bilanciamento di una risposta positiva forte.

Costruire la fiducia non basta

La costruzione di un legame di fiducia più saldo tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini e di una maggiore consapevolezza del rischio connesso all’uso delle piattaforme digitali gestite dalle grandi aziende, richiedono un approccio integrato che coinvolga trasparenza, educazione, competenza e comunicazione.

È impensabile immaginare che le PA possano continuare ad avere siti web poco accessibili e trasparenti, o che non riescano a sviluppare servizi digitali utili e non formino le proprie risorse per affrontare la transizione digitale in atto.
La PA dovrebbe mettere in atto strategie efficienti di trasparenza delle operazioni, e dimostrare un impegno reale al miglioramento, implementando meccanismi di feedback sui servizi pubblici e rispondendo prontamente ai problemi segnalati.

E allo stesso tempo continuare a lavorare per ridurre la complessità dei processi amministrativi digitali e garantire che tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro competenze digitali o risorse economiche, abbiano accesso ai servizi, potenziando programmi di alfabetizzazione digitale, supporto tecnico e alternative non digitali per chi ne ha bisogno, perché quando i servizi digitali sono facili da usare, efficienti e accessibili, i cittadini sentono che il loro tempo e i loro soldi sono ben spesi.

Per aumentare il grado di consapevolezza dei rischi legati al digitale, sono imprescindibili l’educazione e la formazione, di cui non può che farsi carico una PA, che, a sua volta, ha acquisito le necessarie competenze sull’uso delle nuove tecnologie di cui si serve per diventare un interlocutore attendibile e qualificato. E in tutto questo processo la PA deve imparare a comunicare, servendosi di strumenti, competenze e strategie che rendano la narrazione davvero efficace, pensata e calibrata sul target dell’utenza, perché una comunicazione corretta può fare la differenza tra costruire la fiducia e alimentare la diffidenza.

A fronte di un contesto sociale e culturale in costante movimento e fortemente esposto all’attenzione mediatica, la fiducia degli utenti nel digitale va costruita, mantenuta e preservata con competenza e consapevolezza.

 


NOTE

[1] Il termine “influencer” viene inserito dalla Treccani tra i neologismi 2017 ed è consultabile qui. Nel marketing digitale il fenomeno degli influencer ha assunto dimensioni tali da giustificare compensi che, a determinate condizioni, possono arrivare a superare i 10.000 euro a storia nei social network. Maggiori informazioni qui.

[2] Un’indagine giornalistica del 2020 ha rivelato il caso di Avast, nota azienda di sicurezza informatica che raccoglieva dati dettagliati sulle attività di navigazione web degli utenti, inclusi siti visitati, ricerche effettuate, video visualizzati su YouTube e persino acquisti online, e li vendeva poi a terze parti, inclusi grandi marchi e aziende di marketing. Il caso di Avast ha evidenziato i rischi legati alla raccolta di dati da parte di aziende che forniscono servizi gratuiti e ha sollevato domande sulla trasparenza e la protezione della privacy nel settore tecnologico. Puoi consultare l’indagine qui.

[3] È disponibile in rete una dashboard che presenta i dati di monitoraggio sul livello di accessibilità dei siti web della Pubblica Amministrazione, realizzata con i fondi della misura 1.4.2 del PNRR, qui.

[4] Le competenze digitali dei dipendenti della Pubblica Amministrazione (PA) rappresentano un problema per diversi motivi, quali l’obsolescenza delle competenze acquisite, la resistenza al cambiamento da parte del personale, la formazione insufficiente all’interno degli enti, la crescente necessità di competenze più avanzate e la tecnologia in rapida evoluzione. Per superare queste difficoltà, è necessaria una strategia mirata che preveda una formazione costante, piani di aggiornamento e il coinvolgimento attivo dei dipendenti nella trasformazione digitale della PA. Il Piano triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione è uno strumento strategico che mira a guidare la trasformazione digitale del settore pubblico italiano, al cui interno il tema delle competenze dei dipendenti pubblici ha un ruolo rilevante. Maggiori informazioni qui.

[5] La invencion de Morel di Adolfo Bioy Casares, Ediciones Colihue, 2019

PAROLE CHIAVE: digitale / fiducia / imprese / PA

Condividi questo contenuto su

Tutti i contenuti presenti in questa rivista sono riservati. La riproduzione è vietata salvo esplicita richiesta e approvazione da parte dell’editore Digitalaw Srl.
Le foto sono di proprietà di Marcello Moscara e sono coperte dal diritto d’autore.