• Vicedirettrice del progetto editoriale Digeat.

    Archivista presso Studio Legale Lisi, si occupa di consulenza nei processi di governance digitale e documentale e della redazione di articoli di settore.

Vi siete mai chiesti quale sia la temperatura di combustione della carta? Certo, dipende dallo spessore: la carta di giornale non brucia allo stesso modo di una carta patinata. Partendo da questo dato, un autore degli anni ’50, Ray Bradbury, ha immaginato la narrazione di un futuro distopico, dove vengono bruciati i libri, censurati i pensieri e i cittadini sono costretti a fruire esclusivamente di TV e radio (sottoposte a controllo governativo). Una prima versione del racconto intitolata La volpe e la foresta (The Fox and The Forest, 1950) è stata poi ampliata dando vita ad un romanzo Fahrenheit 451[1], il cui titolo si rifà esattamente a quella che l’autore riteneva la temperatura di accensione della carta.

Se un autore di più di mezzo secolo fa poteva trarre ispirazione dalla distruzione fisica dei supporti per immaginare una distopia basata sulla manipolazione dei mezzi di informazione e conoscenza, in cui la società dimostra una totale indifferenza per l’autenticità e la ricerca della verità, ebbene oggi l’avvento delle tecnologie – tra tutte l’intelligenza artificiale – non lascia spazio neppure a questo tipo di misurazioni. Siamo parte di una società liquida, tecnologicamente avanzata, alla quale non importa dove si sedimentano le informazioni, chi le gestisce, per quanto tempo e in che modo, ma punta esclusivamente al raggiungimento del risultato, all’ottenimento dell’informazione, vera o falsa che sia.

La società della dematerializzazione totale è soddisfatta dell’aver “bruciato” la carta, reso il patrimonio informativo impalpabile, sgombrato vittoriosamente stanze, armadi, cassetti e scaffali, permettendo magari di licenziare qualche dipendente di troppo. Ma questa digitalizzazione, lo sappiamo, non è sempre riuscita a restituirci lo stesso livello di affidabilità del cartaceo. Quanto possiamo fidarci di questa società, assuefatta dalla soddisfazione di bisogni superficiali, alla ricerca di risposte immediate e di like, tanto da non voler sapere davvero che cosa si cela in quella “black box” che si nutre delle nostre informazioni e alla quale affidiamo i nostri dati, anche quelli più confidenziali?

Siamo già parte di una distopia dell’informazione, ma proprio per questo è importante continuare a riflettere sui meccanismi nei quali ci ritroviamo immersi: il presente numero ci aiuta ad interpretare l’inquietudine che accompagna le evoluzioni (ed involuzioni) della società muovendo proprio dalle riflessioni dal taglio più archivistico e strumentale (Francesco Del Castillo, Alessandro Alfier, Federico Valacchi, Francesca Cafiero e Antonella Deiana) per spostarsi sugli effetti diretti degli squilibri della digitalizzazione incontrollata sulla cittadinanza (Ernesto Giancotti, Andrea Piccoli, Stefano Gigante, Lorella Gatto) passando per articoli che puntano sull’etica e sulle ricadute psicologiche della trasformazione digitale (Mario De Caro, Isabella Corradini, Antonella D’Iorio, Alexandra Lisac, Angela Petraglia, Pasquale Dambrosio) approdando, infine, ad analisi del quadro normativo che accompagna il cambiamento che stiamo vivendo (Serena Deplano, Enrico Pelino, Michele Iaselli, Giovanni Fiorino, Antonio A. Martino, Giovanni Ferorelli, Andrea Lisi).

Il fil rouge che lega i contributi di questo numero somiglia in realtà più ad un intreccio, complesso e sapiente, di professionalità, competenze ed esperienze che ci aiutano a plasmare una contro-distopia, riabilitando il nostro ruolo di lettori consapevoli.

Se questa società sembra aver “già scelto per noi” un destino fatto di fruizione compulsiva di TV e piattaforme social, in cambio della totale distruzione della carta e dunque del pensiero lento, riflessivo e critico, vi invitiamo a cogliere questo numero come un’occasione per nutrirvi di contributi che vi faranno scoprire un nuovo modo di leggere la distopia contemporanea.

E magari ritrovare una nuova fiducia nella cittadinanza digitale.

 


NOTE

[1] Edito in Italia anche con il titolo “Gli anni della fenice”, un romanzo di fantascienza del 1953.

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