Abstract
Nel contesto digitale l’archivio trova la quintessenza della sua funzione di “custode” della memoria del passato e garante dell’identità del presente con un ruolo che assume sfumature sempre più variegate e complesse, a patto che la sua gestione avvenga correttamente, fin dalla fase di formazione. Esiste un livello di “documentazione” che spesso si trascura o si ignora del tutto e riguarda la predisposizione di alcuni strumenti che hanno riportato il concetto di accountability al centro del confronto tra professionisti del settore, arrivando alla recentissima emanazione di uno standard che tratta questi aspetti, ISO/TS 7538:2024.
Esiste un legame profondo tra gli archivi e i cittadini digitali, che necessariamente si deve basare sulla credibilità del patrimonio custodito. Nel contesto digitale l’archivio trova infatti la quintessenza della sua funzione di “custode” della memoria del passato e garante dell’identità del presente con un ruolo che assume sfumature sempre più variegate e complesse. Questo legame è spesso trascurato o coltivato in maniera non troppo consapevole, eppure esistono degli strumenti utili per mitigare questo senso di inadeguatezza rispetto alla corretta sedimentazione dell’archivio che aiuta il cittadino, l’azienda o l’Ente di riferimento a potenziare questo legame di fiducia, proprio attraverso ciò che gli archivi sanno far meglio: documentare.
L’archivio dell’archivio
Quando si ha a che fare con il patrimonio informativo esiste un livello di “documentazione” che spesso si trascura o si ignora del tutto e riguarda, per così dire, la predisposizione di alcuni strumenti di supporto per la corretta gestione degli archivi, dei documenti e dei metadati stessi. In altre parole, il cosiddetto “archivio dell’archivio”, composto da tutta quella documentazione di corredo e strumentale spesso propria dei soli addetti ai lavori.
Si tratta di strumenti che aiutano a tener traccia dell’intero ciclo di vita documentale e degli eventi principali che possono caratterizzarne il percorso e di certo influenzarne la destinazione finale.
Ma se alcuni di questi “attrezzi” del mestiere sono già ben noti e la loro collocazione e funzionalità è ormai più o meno chiara rispetto a precisi segmenti del ciclo di vita documentale (basti pensare ai registri di protocollo, giornaliero e annuale, ai rispettivi Manuali, gestione, conservazione e servizio di conservazione, o ancora ai registri di log, etc.…) per altre di queste fasi il lavoro di documentazione può essere certamente implementato e migliorato, in una prospettiva di piena accountability.
Nel legame tra archivi e cittadinanza digitale esiste un elemento fondamentale da considerare ed è quello di “responsabilità”, che va ben oltre la semplice connotazione individuale, ma riguarda un concetto più complesso che ha a che fare con il contesto organizzativo di riferimento. L’inglese ci permette di racchiudere nell’accezione di accountability, proprio questo concetto di “responsabilizzazione”, intesa come la capacità di rendere conto delle proprie azioni e di assumersi le relative responsabilità.
L’accountability in archivio, questa (s)conosciuta
L’avvento della protezione dei dati personali ha portato il concetto di accountability al centro del confronto tra professionisti del settore, eppure si tratta di una proprietà affatto sconosciuta nel parallelo mondo archivistico.
L’organizzazione del patrimonio documentario deve per forza contare su un corposo lavoro di rendicontazione delle azioni intraprese e delle risorse coinvolte in relazione alle responsabilità coinvolte e a tempistiche prestabilite, in un’ottica di piena trasparenza che va proprio ad alimentare quel concetto di fiducia che altrimenti rimarrebbe inconsistente e privo di un concreto ancoraggio. Non basta sapere che l’archivio esista da qualche parte, bisogna che funzioni con una gestione il più possibile “parlante”.
Ed ecco che, se da un lato l’accountability si pone a presidio del rafforzamento di questo legame di fiducia, dall’altro potrebbe far emergere evidenti falle, laddove esistono carenze nella corretta manutenzione di alcune fasi della gestione del patrimonio documentale. Esistono effettivamente degli eventi nel ciclo di vita dei documenti che possono essere più critici di altri che hanno comportato non poche problematiche di gestione, specie nei passaggi intermedi tra archivio corrente e di deposito o, peggio, nel versamento da quest’ultima fase, allo storico. Il trasferimento, lo scarto, l’eliminazione dei documenti sono passaggi di una delicatezza inimmaginabile, che in alcune situazioni hanno costituito dei veri e propri nervi scoperti nella gestione del patrimonio.
La selezione dei documenti prevede a monte una corretta analisi di contesto per la predisposizione dello strumento “piano di conservazione” ora “massimario di scarto” in passato e si intersecano in modo spesso burrascoso con il “registro dei trattamenti” del DPO.
La “selezione” deve essere poliedrica e racchiudere in una stessa azione più aspetti: preservare la memoria storica ai fini della ricerca futura, garantire la non eccedenza del trattamento dei dati dell’interessato, favorire la corretta azione amministrativa… Tutti questi aspetti devono convergere univocamente secondo delle regole definite a monte e legate alle caratteristiche dell’archivio stesso, che nel tempo costituirà l’unica memoria disponibile per poter intraprendere azioni future.
Tuttavia, proprio in ottica di piena accountability, è di recentissima emanazione uno standard che punta proprio a regolare questi nodi più critici: si tratta di ISO/TS 7538:2024, contenente i Requisiti funzionali per la disposizione dei documenti.
Lo scarto: una misura necessaria (e vantaggiosa)
A monte di ogni processo finalizzato allo scarto dei documenti occorre tenere in considerazione e fissare all’interno del Piano di conservazione il contesto in cui si colloca il documento e la verifica di quella determinata tipologia. Occorre accertarsi se possa essere oggetto di distruzione, qualora non ci siano azioni legali pendenti e per le pubbliche amministrazioni non incidano le prescrizioni dettate dal Ministero della Cultura. Tutti queste caratteristiche rivestono un aspetto fondamentale dal quale potrà partire l’azione colta all’eliminazione permanente dei documenti. Il processo di distruzione/smaltimento della documentazione/record dovrà concludersi con l’attestazione dell’avvenuta distruzione.
Lo scarto (e pertanto la selezione) non sono interventi da intendersi come attività sporadiche da effettuare per ragioni contingenti, ben lontane dal fine effettivo.
È prassi, spesso consolidata in ambiente analogico, che vengano effettuati scarti per motivi contingenti, in quanto i locali sono saturi e non sono più in grado di accogliere ulteriori documenti, oppure sono delocalizzati presso un outsourcer e continuare a conservarli potrebbe comportare un aumento dei canoni di locazione degli spazi utilizzati, oppure, in ambiente digitale, il caso più comune è l’esaurimento dello spazio e spesso si rimedia andando a cancellare i documenti più vecchi.
I benefici maggiormente evidenti possono essere:
- Diminuzione dei costi relativi alla gestione;
- Aumento dello spazio fisico o nello storage;
- Viene favorito il reperimento agile della risorsa conservata;
- Diminuzione del rischio (carico incendi, muffe o insetti…);
- Conformità alle norme che definiscono la tenuta dei documenti (Codice civile, GDPR…);
- Diminuzione del rischio di incidenti, di varia natura che come la divulgazione di informazioni sensibili o riservate;
- Diminuzione delle responsabilità legate alla conservazione di documenti per le quali le policy aziendali non prevedono la conservazione stessa.
Lo scarto come attività dovrebbe essere configurata di default by design ed essere eseguita come attività ordinaria sulla base delle definizioni delle policy dell’amministrazione o dell’azienda su base annuale, senza che ci sia una necessità impellente da parte del soggetto produttore.
La disposizione dei documenti
Il termine “disposizione” non si riferisce direttamente ad un singolo segmento del ciclo documentale, ma riguarda la “gamma di processi di registrazione associati all’attuazione delle decisioni di conservazione, distruzione o trasferimento dei documenti”.
Si tratta pertanto di specifiche inerenti alla documentazione di tre possibili scenari che si collocano in determinati segmenti del ciclo di vita documentale, che lo standard individua:
- al ricevimento o alla creazione di un documento;
- quando cambia lo stato di un documento;
- quando i documenti non hanno più alcun valore amministrativo, legislativo, storico o culturale;
- per scopi di conservazione e archiviazione a lungo termine.
Ciò significa che il nostro “archivio dell’archivio” deve essere alimentato in ciascuna di queste circostanze, dal momento che questa “gamma di processi di registrazione” è indicata quale parte integrante della gestione documentale, come parte di processi, controlli e sistemi di buona gestione documentale.
Ci spingiamo infatti sempre più vicini al concetto di archivio-thesaurus, ovvero un archivio costruito in modo sistematico e organizzato, laddove a monte esiste una precisa volontà progettuale e di valutazione che determina i criteri di gestione del patrimonio. Di fatto lo Standard ci dice proprio questo: “I sistemi di gestione devono essere progettati per supportare le operazioni di disposizione, ossia lo sviluppo di procedure e programmi di conservazione e la determinazione dello scarto alla fine del ciclo di vita documentale o, viceversa, del trasferimento a un’altra entità, che dipendono dai risultati di un processo di valutazione”.
Chiaramente, la piena integrazione della disposizione in fase progettuale rende gli addetti ai lavori in grado di affrontare con una rinnovata sicurezza proprio quei passaggi cruciali dei quali si accennava poc’anzi e che invece sono così incorporati nell’architettura dei sistemi in conformità ai requisiti legali e operativi, secondo un approccio che dimostra una rinnovata attenzione all’efficienza ed efficacia dell’archivio quale cuore dell’attività dell’Ente. L’iter della disposizione prevede infatti alcuni passaggi obbligati ben precisi che aiutano a strutturare un percorso documentato di eventi così significativi, partendo dalla governance, per quale si prevede una fase di autorizzazione, la cui responsabilità è divisa per gruppi o classi di documenti e dove è necessario fornire prove a supporto delle decisioni e a giustificazione delle azioni intraprese e ancora una fase di revisione e aggiornamento delle stesse autorità preposte ad avallare questo tipo di azioni. Ancora si forniscono indicazioni per la documentazione che deve supportare la specifica dei criteri e processi di smaltimento e si individuano parimenti le indicazioni di un processo documentato da intraprendere in caso di circostanze eccezionali.
Fidarsi dell’eliminazione dei documenti
Le ricadute di una gestione così “responsabilizzata” sono evidenti e lo stesso standard individua quali vantaggi: un’attività aziendale efficace, la conformità e la mitigazione dei rischi per la sicurezza e la privacy e benefici dal punto di vista commerciale, sociale e della gestione del rischio.
Tra la mitigazione dei rischi riguarda soprattutto uno dei passaggi più delicati per la vita dell’archivio, ossia lo scarto e l’eliminazione della documentazione, che da sempre mina quella sensazione di fiducia che accompagna l’archivio. Ma come lo stesso standard puntualizza la corretta gestione dei processi di smaltimento incide proprio sulla garanzia di attenuazione dei rischi dovuti alla distruzione prematura o all’eccessiva conservazione dei documenti, responsabilizzando le organizzazioni che devono trovare il processo giusto per mitigare i rischi derivanti dalla natura dei record e dalle sfide specifiche dei loro ambienti aziendali.
Ancora, lo standard ci ricorda che la definizione di tali requisiti deve tener conto dei metadati che devono essere gestiti in base ai requisiti di disposizione dei documenti. Pertanto, se il record deve essere conservato, trasferito o distrutto, i metadati devono essere gestiti allo stesso modo. Tuttavia, in si contempla anche il caso di una possibile disgiunzione, laddove può essere necessario conservare alcuni metadati per i record oltre il periodo di conservazione assegnato al record (ad esempio per scopi di responsabilità o statistici).
Da ultimo, ma non di minore importanza, la certezza della distruzione del documento. Se nel ciclo di vita del documento rientra a pieno titolo anche la selezione dello stesso finalizzata alla sua eliminazione, l’azione deve essere certa e sicura. Infatti, in ambito digitale possiamo (o dovremmo) contare su una pianificazione a monte della selezione secondo un piano di conservazione integrato nella gestione dei nostri archivi digitali, consentendo un’azione netta e lineare nei differenti storage nei quali si trovano spesso duplicati i documenti stessi.
In ambito cartaceo la situazione è certamente più complessa, la selezione della documentazione passa attraverso la mediazione del piano di conservazione, a questa fase di valutazione del documento segue uno spostamento anche fisico dello stesso attraverso il conferimento ad un soggetto terzo in grado di fornire adeguati verbali di avvenuta distruzione della documentazione stessa con metodi efficaci (triturazione e incenerimento) in modo da non consentire altri usi del documento una volta selezione e posto allo “scarto”.
Conclusioni
Ancora una volta l’ossimoro tra conservazione ed eliminazione si rinnova, perché l’archivio non è una sorta di Pánta rheî, dove nulla di distrugge e tutto si trasforma (in pacchetti di archiviazione, magari), al contrario è una memoria che viene perfezionata attraverso la selezione e la potatura puntuale, secondo quanto stabilito dalle policy e dagli strumenti appartenenti all’ecosistema dell’Ente.
E le ceneri sono necessarie per rendere ancora più fertile il terreno della memoria.
PAROLE CHIAVE: accountability / archivi / conservazione / disposizione / documenti / fiducia / gestione / metadati / scarto
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