Abstract
Il diritto deve inseguire la tecnologia o è possibile che la tecnologia sia posta al servizio del diritto? Spesso gli operatori del diritto si sentono impotenti nel governare l’ingente mole di attività legate alla compliance e tendono a ricercare metodi di semplificazione. Tuttavia la semplificazione non è sempre una buona idea: potrebbe far perdere la visione d’insieme e pertanto ridurre la complessità ad una rappresentazione deficitaria. L’adozione di strumenti di intelligenza artificiale può agevolare l’operatore umano nelle attività di compliance AI driven laddove vengano adottati secondo un approccio orientato a valorizzare la complessità. Ecco dunque la svolta: utilizzare l’intelligenza artificiale a supporto del processo di esplorazione dell’operatore del diritto. Non occorrono soluzioni pronte all’uso bensì strumenti che agevolino la capacità di analisi e ragionamento dell’uomo.
Immaginiamo di essere giunti ad un bivio e di dover effettuare una scelta: semplificare, ovvero accogliere la complessità; non è una scelta banale e non ci sono vie di mezzo.
Il bivio
Si potrebbe correttamente intraprendere la via della compliance “nuda e cruda” per dare ordine, struttura e indirizzo, per definire un metodo di organizzazione dei dati e dei processi nonché un approccio basato sul rischio, tuttavia, questa non si rivela essere una soluzione definitiva, né la panacea di tutte le problematiche che potrebbero derivarne, così come non lo è la tecnologia e non lo sono le nuove tecnologie.
Per dipanare la complessità, dunque, dobbiamo ribaltare il nostro modo di strutturare la conoscenza da un punto di vista epistemologico: come ci approcciamo oggi al mondo intorno a noi, come lo conosciamo? Come sono cambiate le strutture della conoscenza per effetto dell’adozione e della diffusione di tecnologie sempre più pervasive nel nostro modo di vivere?
In primo luogo, dobbiamo fare i conti con un elemento spazio-temporale: il nostro mondo è rappresentato da una dimensione fisica, ma anche digitale, inserito in un contesto offline e online (cd. onlife secondo il filosofo contemporaneo Luciano Floridi).
Questa duplice rappresentazione nello spazio e nel tempo esaspera la complessità del reale e la rende estremamente sfuggente, al punto da richiedere un intervento legislativo di matrice europea ed internazionale volto a riportare ordine nelle maglie del diritto costituzionalmente orientato. Una fitta rete di regolamenti direttamente applicabili, direttive da recepire e convenzioni internazionali da ratificare, rende ancor più stratificata e aggrovigliata una matassa di non semplice comprensione.
La conoscenza, infatti, non si compone più solo di rappresentazioni fisiche del mondo, ma anche di rappresentazioni digitali, tutt’altro che virtuali, idonee a produrre effetti giuridici nel mondo fisico e nella vita delle persone.
La realtà, pertanto, è complessa, stratificata, articolata, ricca e difficile da semplificare.
Datificare la realtà
La nuova rappresentazione della conoscenza tramite i dati e la cd. “datificazione” è il risultato del potenziamento delle capacità computazionali degli hardware, dei software e della capacità di raccolta e organizzazione di ingenti quantità di dati tramite modelli e algoritmi sempre più articolati, idonei a macinare ordini di grandezza che sono inimmaginabili per la mente umana: come tutti i dati presenti sul web, dalla nascita di internet sino ad oggi!
La velocità di calcolo, per mezzo della tecnologia, potrebbe indurre a una scelta intuitiva: semplificare la complessità, scomponendola, nel tentativo di ridurla ad una rappresentazione unitaria, idonea ad essere sottoposta ad un comando di prompt di rapida elaborazione, da cui ricavare soluzioni immediate, pronte all’uso e già confezionate.
Il metodo scientifico cartesiano, di semplificazione e riduzione, ha tenuto banco per molti secoli, ma oggi occorre chiedersi se, in considerazione del mutato contesto tecnologico e antropologico, non sia il caso di adottare un approccio diverso, orientato a valorizzare la ricchezza e l’abbondanza che discendono dalla complessità della realtà.
Può essere questa la via per consentire all’uomo di sviluppare a pieno il proprio potenziale e affermare la superiorità dell’uomo sulla macchina, senza dubbio alcuno?[1]
Abbracciare la tesi della complessità significa riconoscere il ruolo centrale dell’essere umano, in quanto unico ed esclusivo artefice delle opere frutto del suo ingegno, tra cui i software e i modelli di intelligenza artificiale e in generale le nuove tecnologie.
Se, fino ad oggi, la capacità creativa e lo spirito critico sono stati i segni distintivi nell’evoluzione storica e sociale dell’essere umano, occorre considerare che l’attuale stato dell’arte tecnologico è sempre più vicino a generare, quanto meno, l’illusione di un superamento delle capacità umane o forse un intorpidimento della mente umana in favore dell’artificio.
Oggi, il potere computazionale, unitamente alla disponibilità di ingenti quantità di dati abbinati a potenti modelli, rappresenta il segno distintivo in grado di abilitare nuove rappresentazioni del mondo, della conoscenza e, di conseguenza, dell’uomo. Tuttavia, la sola idea di tentare di ridurre la realtà ad una matrice binaria sarebbe alquanto sciocca nonché miope e fuorviante, oltre che irrealizzabile.
Pensiamo alle aree del mondo prive di accesso ad Internet, in cui la comunicazione avviene attraverso codici non scritti e non riconducibili ad una stringa numerica, dove la semioticaassume un significato peculiare non traducibile in un dato digitale.
Inoltre, le possibilità di accesso al digitale includono solo una parte del mondo, pertanto, dobbiamo ritenere che la strada per dipanare la complessità non possa essere individuata nel digitale, né nella sua conformità alle regole, se non in minima parte e per la risoluzione di una piccola porzione di problemi.
Ciò significa che, quando affrontiamo il discorso sull’adozione di nuove tecnologie, non possiamo che fare riferimento alla parte di mondo digitalizzato in cui viviamo e che conosciamo, senza però dimenticare che la realtà vive ben al di là di ogni rappresentazione digitale. Se affrontiamo il tema della complessità, con riferimento alla nostra ristretta prospettiva, potremmo ipotizzare un’inversione di rotta.
Inversione di rotta
La tecnologia risolve problemi, la compliance sostiene i processi e i metodi organizzativi in conformità delle disposizioni normative vigenti, nel tentativo di inquadrare la cornice giuridica di contesto entro cui operare, identificando ogni singolo aspetto e ogni strategia, legale e operativa, in sinergia con il business.
Partendo da questa considerazione, potremmo ritenere che una strada percorribile per dipanare la complessità possa essere individuata nell’utilizzo della tecnologia a supporto delle attività umane di conoscenza ed esplorazione di settori eterogenei, ad esempio il diritto.
Un interessante business case, condotto da una dinamica e promettente realtà emiliana, spiega come utilizzare l’intelligenza artificiale come strumento a supporto della conoscenza umana e non come oracolo miracoloso per risposte pronte all’uso[2].
Sovvertire l’idea, secondo la quale il diritto debba inseguire e adeguarsi alla tecnologia, potrebbe essere un punto di partenza per dipanare la realtà giuridica estremamente contorta e stratificata di disposizioni, prescrizioni, fattispecie e principi talvolta confusi e ambigui in tema di digitale.
Potremmo pensare di usare la tecnologia come modello esplorativo per porre domande invece di fornire risposte, per accompagnare l’uomo nel percorso di ricerca e analisi dei processi anziché dare soluzioni, inevitabilmente parziali e potenzialmente viziate.
Conclusione
La compliance, come la conosciamo oggi, potrebbe essere reinterpretata non solo come sistematica riorganizzazione dei processi e allocazione dei rischi, ma altresì in chiave strategica come elemento, parte di un processo tecnologico AI driven, volto a ricercare le domande necessarie all’evoluzione della conoscenza giuridica e tecnica e al superamento di quel vulnus interpretativo, spesso inconciliabile con la complessità del vivere comune.
È possibile immaginarlo, ma è più efficace testarlo.
Un utilizzo virtuoso della compliance, abbinata ai modelli e agli strumenti di intelligenza artificiale, infatti, potrebbe certamente generare un beneficio in termini di più efficace comprensione dello stato dell’arte e delle potenzialità di sviluppo del business e, soprattutto, in termini di esplorazione e astrazione di nuove idee per generare proiezioni del futuro chiare, con uno sguardo attento ai capisaldi giuridici a tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche, della salvaguardia dei diritti umani e della democrazia.
NOTE
[1] E. MORIN, La sfida della complessità, a cura di Annamaria Anselmo, Giuseppe Gembillo, Collana Le Lettere, GaiaMente Edizione, 2017
[2] G. TARDINI, L’oracolo siamo noi, la macchina ci interroga soltanto, 24 Ottobre 2024
PAROLE CHIAVE: complessità / compliance / digitale / intelligenza artificiale
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