• Archivista presso Fondazione CMCC, si occupa di processi di governance documentale e della scrittura di articoli di settore.

La strategia “panem et circenses” era già ben nota nell’antichità, laddove l’utilizzo di strategie anestetizzanti di massa utili a mantenere potere e controllo consistevano nell’elargire gratuitamente “pane” e “giochi” per distrarre e manipolare il pubblico. Un quadro non molto diverso da quello attuale e le riflessioni raccolte in questo primo numero del 2025 ci aiutano a capirne il perché, attraverso diversi approcci. In occasione del primo compleanno di Digeat crediamo che sia importante continuare ad esercitare la lentezza, la bellezza della riflessione e il ritorno di uno spirito pienamente critico, continuando a sostenere un presidio di slow-food culturale come questo, opposto al junk food di cui ci nutre la rete.

Per il primo compleanno della nostra Rivista abbiamo individuato una tematica – guida estremamente variegata, che partendo dall’assonanza tra data breach/bridge richiama alla mente il famoso gioco di carte, la cui posta sono le nostre fragili identità online, il nostro patrimonio informativo, diviso tra memorie e oblii, oggetto di un sempre più pervasivo controllo esercitato per mano di un sistema capitalistico incentrato sulla sorveglianza di massa, attraverso lo studio di ogni nostra mossa online.

Non era un tema semplice da metabolizzare, eppure leggendo le diverse riflessioni qui raccolte è possibile richiamare alla mente un’espressione già ben nota agli antichi romani, da etichettare con la formula “panem et circenses”, ossia l’utilizzo di strategie anestetizzanti di massa utili a mantenere potere e controllo, offrendo gratuitamente “pane” e “giochi” per distrarre e manipolare il pubblico.

Il moderno “pane” è ciò che oggi viene elargito per garantire la sussistenza (misure di welfare apparenti e spesso inconsistenti, pezze che riescono appena a celare veri e propri solchi sociali, fatti di divari e lacune) che in qualche modo offrono ciclicamente un miraggio di sopravvivenza a cui aggrapparsi, facendo guadagnare consensi, a discapito di una sempre più precaria stabilità sociale.

In questo il digitale potrebbe offrire una potentissima arma di partecipazione civica, se solo la pubblicazione dei dati (e la loro conseguente misurazione) avvenissero in maniera trasparente e metodica: non a caso in questo numero inauguriamo la nuova rubrica di Flavia Marzano “Quanto pubblica l’amministrazionededicata proprio alla diffusione della cultura degli Open Data nella PA e alla predisposizione di  strumenti e diffusione di conoscenze per un’amministrazione più aperta, efficiente e inclusiva. Inutile spiegare, forse, quali siano i “circenses” moderni elargiti gratuitamente dai GAFAM, che immettono nelle nostre bacheche un flusso costante di intrattenimento e distrazione.

Non a caso la parola dell’anno 2024 secondo l’Università di Oxford è stata “Brain Rot” (letteralmente “marciume cerebrale”) che descrive il deterioramento mentale dovuto al consumo eccessivo di contenuti banali e poco stimolanti ai quali siamo costantemente esposti nel compulsivo scrolling quotidiano.

La consolazione arriva a sorpresa dalle nuove generazioni (in particolare Gen Z e Gen Alpha) che hanno contribuito alla sensibilizzazione rispetto al fenomeno proprio su quelle piattaforme considerate la causa originaria del brain rot, dimostrando una certa auto-consapevolezza riguardo alle conseguenze di questi moderni “circenses”.

Il fascino che queste piattaforme hanno inizialmente esercitato sui nostri cervelli lascia ora il posto alle inquietudini legate alla gestione più o meno incontrollata delle nostre memorie e dei nostri oblii, specie quando gli stessi oligarchi che governano questi sistemi iniziano ad infiltrarsi nei luoghi ufficialmente preposti a presidio del patrimonio informativo pubblico e dunque della democrazia.

È il caso eclatante di Colleen J. Shogan, 11° Archivista capo dei National Archives and Records Administration (NARA) nominata dall’amministrazione Biden nel 2022 e licenziata in tronco lo scorso 7 febbraio dopo la nuova ascesa al potere di Trump. La decisione rientra in un più ampio sforzo di ristrutturazione della nuova amministrazione che ha portato all’epurazione di centinaia di funzionari pubblici e la sostituzione con figure più filogovernative: c’è chi ha visto nella presenza del non-eletto Musk una delle minacce maggiori per la gestione, conservazione (e manipolazione) del patrimonio informativo nazionale degli States, attualmente senza una guida confermata.

La partita a Data Bridge resta perciò aperta e fa profondamente parte della nostra realtà: ecco perché crediamo che sia importante continuare ad alimentarci con lo slow-food di Digeat, opposto al junk food di cui ci nutre la rete.

Sono spazi come questo a riabilitare l’uso consapevole degli strumenti di informazione digitali e la resistenza contro un sovraccarico cognitivo che ci rende terribilmente stanchi e apatici. Digeat ha provato ad avanzare in direzione contraria: sottraendosi ai tempi dettati dal web, funzionali allo scrolling compulsivo e al consumo eccessivo di contenuti online di bassa qualità. In un anno abbiamo accolto decine di contributi, inaugurato nuove rubriche e giocato con nuove contaminazioni per allargare le possibilità di riflettere “nero su bianco” all’interno del nostro trimestrale, permettendoci di esercitare la lentezza e la bellezza della ricerca di originalità e il ritorno di uno spirito pienamente critico.

E per questo primo anno di Digeat ringrazio ciascun Autore, ciascun Componente dei Comitati, ma soprattutto ringrazio ciascun Lettore che ha scelto di credere in questo esperimento culturale.

 

Perché è meglio una testa ben fatta, di una ben piena (E. Morin).

PAROLE CHIAVE: archivi digitali / brain rot / cultura digitale / informazione / Partecipazione / trump

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