Abstract
L’articolo denuncia il rapporto problematico tra la Pubblica Amministrazione italiana e gli Open Data, descrivendolo come un “matrimonio di convenienza” inefficace. Nonostante il concetto di Open Data (dati pubblici accessibili e riutilizzabili da tutti) sia potenzialmente rivoluzionario per migliorare la vita dei cittadini, promuovere l’innovazione e garantire trasparenza, la sua attuazione in Italia è carente.
La normativa italiana, seppur chiara nel sancire il diritto di accesso ai dati pubblici, si scontra con una realtà fatta di burocrazia, disinteresse e resistenza al cambiamento. La ricerca di Open Data nei siti web istituzionali si trasforma in una “caccia al tesoro” frustrante, con sezioni nascoste, dati incompleti o obsoleti, formati inadeguati (come PDF scansionati) e mancanza di metadati.
L’articolo evidenzia come la trasparenza amministrativa, spesso sbandierata come valore fondamentale, sia in realtà un’illusione, con dati incompleti, incomprensibili o aggiornati in ritardo. Anche le licenze d’uso, cruciali per il riutilizzo dei dati, sono spesso assenti o poco chiare, creando un “limbo burocratico” che impedisce l’uso innovativo dei dati.
In conclusione, l’articolo sottolinea come l’accesso ai dati pubblici in Italia sia un percorso ad ostacoli, con cittadini costretti a “telefonare a più di un centralinista” e a decifrare documenti incomprensibili. La situazione descritta impedisce di fatto l’esercizio del diritto di accesso ai dati e mina la trasparenza e l’efficienza della Pubblica Amministrazione.
Diciamocelo senza mezzi termini: il rapporto tra la Pubblica Amministrazione italiana e gli Open Data è tutto fuorché una storia d’amore. Sembra piuttosto un matrimonio di convenienza, dove entrambi i partner (con una netta prevalenza della Pubblica Amministrazione) si tollerano a stento, facendo il minimo indispensabile per mantenere in piedi una relazione ormai logora da tempo.
La rivoluzione degli Open data
Eppure, il concetto di Open Data è tanto semplice quanto rivoluzionario: i dati pubblici, in quanto patrimonio collettivo, devono essere accessibili, disponibili e riutilizzabili da chiunque. Singoli cittadini, imprese, ricercatori, giornalisti, associazioni, membri della società civile e ovviamente le amministrazioni stesse: tutti dovrebbero poter beneficiare di questa miniera di informazioni per migliorare la vita di tutti i giorni, promuovere l’innovazione e, non ultimo, esercitare un controllo democratico sull’operato delle istituzioni, garantire trasparenza, rendicontazione e… perché no, anche anticorruzione!
La normativa italiana è piuttosto chiara al riguardo. Il Decreto Legislativo 33/2013 sull’accesso civico e il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) sanciscono il diritto di accesso ai dati pubblici e ne promuovono la diffusione in formati aperti e riutilizzabili. Ma, come spesso accade, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, o, per meglio dire, un oceano di burocrazia, disinteresse e, a volte, anche una certa dose di malcelata resistenza al cambiamento.
La realtà è ben diversa dalla legge
Basta navigare un po’ sui siti web istituzionali per rendersi conto che la realtà è ben diversa da quella auspicata dalla legge. Trovare Open Data sui siti della Pubblica Amministrazione italiana assomiglia più a una caccia al tesoro senza mappa che a una semplice consultazione.
Spesso, le sezioni dedicate ai dati aperti sono nascoste in meandri inaccessibili dei portali web, aggiornate raramente e con informazioni incomplete o obsolete. I formati dei dati sono spesso inadeguati: file PDF scansionati (sì, avete letto bene, scansionati anziché in formato digitale, quindi spesso anche non accessibili a persone con disabilità visiva!), tabelle immagini, dati privi di metadati o con strutture caotiche e “aggiornati” a 5-10 anni fa. La triste realtà dei dati fantasma, quello che dovrebbe essere un servizio per il cittadino diventa una caccia al tesoro che, nella maggior parte dei casi, termina con una resa incondizionata.
Insomma, una vera e propria giungla burocratica che rende l’utilizzo dei dati pubblici un’impresa ardua, se non impossibile. E quando, miracolosamente, si riesce a trovare un dataset interessante, spesso questo scompare nel nulla dopo qualche tempo, come se fosse stato inghiottito da un buco nero.
E che dire della trasparenza amministrativa, spesso sbandierata come un valore fondamentale della Pubblica Amministrazione? Bellissima parola, che evoca immagini di cristallo e vetri immacolati. Peccato che in molti casi assomigli di più a un vetro smerigliato con uno spesso strato di nebbia.
È un concetto nebuloso e purtroppo, troppo spesso si rivela essere più un’illusione che una realtà. I dati pubblicati sono spesso incompleti, incomprensibili o aggiornati con anni di ritardo.
E le licenze d’uso? Un altro tasto dolente. Molti dataset vengono pubblicati senza una chiara indicazione sulla possibilità di riutilizzo, lasciando gli utenti nell’incertezza; senza una licenza open, i dati rimangono intrappolati in un limbo burocratico, inaccessibili per sviluppatori e analisti che potrebbero farne un uso innovativo.
Il risultato? Il cittadino che vuole esercitare il proprio diritto di accesso ai dati si ritrova a fare più telefonate di un centralinista, a inviare richieste di accesso civico e a decifrare documenti scritti in un linguaggio che neanche un crittografo della CIA potrebbe comprendere.
E il sogno delle licenze Creative Commons ce lo siamo dimenticato!
I misteri degli Open data
C’è poi un altro fenomeno affascinante: la PA che pubblica i dati e poi, con la stessa rapidità con cui un gatto rovescia un bicchiere d’acqua, li fa sparire. Ti è mai capitato di trovare un dataset interessante su un portale Open Data e poi, qualche mese dopo, scoprire che è scomparso nel nulla? Misteri dell’amministrazione pubblica! Forse era troppo utile, forse qualcuno ha realizzato che quei dati avrebbero potuto realmente essere riutilizzati per monitorare l’operato dell’ente, e allora meglio eliminarli per evitare che qualcuno faccia domande scomode. E così, gli Open Data diventano dati fantasma, pubblicati per rispettare la normativa e poi rimossi nel silenzio generale.
E le best practice? Uno sport estremo!
Non fraintendetemi: fortunatamente, esistono anche delle eccezioni virtuose, rare, rarissime eccezioni che confermano la regola! Alcune amministrazioni locali e centrali, spinte da una maggiore sensibilità verso i temi dell’open government e della partecipazione cittadina, hanno intrapreso un percorso virtuoso nella pubblicazione e gestione dei dati aperti. Merito di chi? A volte del personaggio politico illuminato, più spesso del dirigente “open minded”. Tuttavia, queste esperienze positive sono ancora troppo isolate e non rappresentano la norma e neppure la maggioranza (ci potremmo accontentare sperando nella diffusione virale per imitazione). È necessario un cambio di passo a livello nazionale per promuovere una cultura degli Open Data diffusa e radicata in tutta la Pubblica Amministrazione.
Il punto è che rendere gli Open Data una prassi e non un’eccezione dovrebbe essere la norma, non un atto di eroismo amministrativo. Non dovrebbe servire un amministratore illuminato o un team di innovatori per fare ciò che la legge già prevede.
Purtroppo, manca una strategia uniforme e condivisa per garantire che i dati pubblicati siano effettivamente utilizzabili e aggiornati. E senza un reale impegno a livello centrale, continueremo a vedere Open Data più simili a opere d’arte concettuali: belli da menzionare nei convegni, ma privi di utilità pratica.
Ma che cosa si può fare per invertire la rotta e trasformare gli Open Data da chimera a realtà? Le soluzioni esistono, e sono anche piuttosto chiare, serve una roadmap per il cambiamento!
Una (sempre) possibile inversione di rotta
Innanzitutto, è fondamentale investire nella formazione dei dipendenti pubblici. I funzionari devono essere adeguatamente preparati sulla gestione, pubblicazione e aggiornamento dei dati, nonché sull’importanza di renderli facilmente accessibili e riutilizzabili.
In secondo luogo, è necessario automatizzare i processi di pubblicazione dei dati. L’adozione di strumenti software adeguati può ridurre l’intervento umano e il rischio di errori o dimenticanze, garantendo al contempo una maggiore tempestività e accuratezza delle informazioni. E chissà visti i tempi si potrebbe anche far fare a strumenti di intelligenza artificiale!
Un altro aspetto cruciale è il monitoraggio e il controllo della qualità dei dati pubblicati. È necessario istituire meccanismi di verifica e validazione per assicurare che i dati siano completi, aggiornati e in formati aperti (come peraltro previsto dalla normativa citata).
Parallelamente, è importante promuovere la collaborazione con la comunità open source e con i cittadini. Il contributo di sviluppatori, analisti e altri esperti può essere prezioso per migliorare la qualità dei dati e sviluppare applicazioni innovative basate su di essi.
Infine è fondamentale semplificare le procedure burocratiche interne alla Pubblica Amministrazione. Spesso, la difficoltà nel pubblicare i dati non dipende dalla mancanza di volontà, ma dalla complessità dei processi, dalla rigidità delle strutture organizzative e talvolta dalla carenza di personale.
Investimento per il futuro del Paese grazie agli Open data
Gli Open Data non sono solo un adempimento burocratico o un esercizio di trasparenza fine a sé stesso ma rappresentano un vero e proprio investimento per il futuro del Paese. La disponibilità di dati pubblici aperti e di buona qualità può favorire l’innovazione, stimolare la crescita economica, migliorare l’efficienza della Pubblica Amministrazione e soprattutto rafforzare la partecipazione democratica.
È ora che la Pubblica Amministrazione italiana smetta di considerare gli Open Data come un peso o un obbligo, e inizi a vederli come un’opportunità per costruire un futuro più trasparente, efficiente e inclusivo.
Questo articolo vuole essere un appello alla responsabilità, rivolto tanto alla Pubblica Amministrazione (funzionari e politici) quanto ai cittadini.
La PA ha il dovere di rendere i dati pubblici realmente accessibili e utilizzabili, superando le resistenze interne e adottando le soluzioni tecnologiche e organizzative necessarie.
I cittadini, dal canto loro, hanno il diritto di esigere trasparenza e accountability da parte delle istituzioni, utilizzando i dati pubblici per monitorare l’operato della PA, proporre soluzioni innovative e partecipare attivamente alla vita democratica.
Ma l’appello non è solo alla responsabilità, è anche all’azione. Non basta lamentarsi della situazione attuale, è necessario agire concretamente per cambiare le cose.
Ecco alcuni suggerimenti per i cittadini (ma come facciamo a farli arrivare loro? Grazie alle associazioni, ai partiti politici, ai tecnici appassionati di open data? Altro?)
- Informarsi: approfondire la conoscenza sul tema degli Open Data, sui loro benefici e sulle modalità di utilizzo.
- Monitorare: controllare regolarmente i siti web istituzionali e segnalare eventuali anomalie o mancanze nella pubblicazione dei dati.
- Richiedere: esercitare il diritto di accesso civico per ottenere i dati che non sono stati pubblicati o che sono stati pubblicati in formati inadeguati.
- Collaborare: partecipare a iniziative di data journalism, hackathon o progetti di sviluppo di applicazioni basate sui dati aperti.
- Diffondere: sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza degli Open Data e sulla necessità di una PA più trasparente e aperta.
Conclusioni
La PA può ancora redimersi? Il cambiamento è possibile! Servirebbe un mix di cultura digitale, volontà politica e un po’ di sano pragmatismo. Gli Open Data non sono un capriccio, ma un’opportunità per rendere la PA più efficiente, favorire l’innovazione e migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Bisogna investire nella formazione dei dipendenti pubblici, nell’automazione dei processi di pubblicazione dei dati e in una maggiore sorveglianza sulla qualità delle informazioni condivise. Solo così gli Open Data potranno finalmente diventare ciò che dovrebbero essere: uno strumento concreto di partecipazione e innovazione.
E chissà, magari un giorno cercheremo un dataset e lo troveremo al primo colpo, ben formattato, aggiornato e pronto all’uso. Ma fino ad allora, chi cerca Open Data dovrà armarsi di pazienza, speranza e un buon caffè (o forse camomilla). Tanto, si sa, la trasparenza è una bella parola… finché non diventa troppo scomoda!
Solo attraverso un impegno congiunto sarà possibile trasformare gli Open Data da chimera a realtà, costruendo una Pubblica Amministrazione più aperta, efficiente e al servizio dei cittadini (e so già che qui qualche politico o tecnico alzerà gli occhi al cielo pensando: perché non lo sto già facendo?).
La strada è in salita ma ce la faremo!
PAROLE CHIAVE: accessibilità / Corruzione / Open data / Open Government / Partecipazione / Pubblica Amministrazione / trasparenza
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