• Responsabile Sezione Intellectual Property

    Avvocata del foro di Bari, partner e cofounder dello Studio Legale Augenti-Diasparro. Ha maturato esperienza in diritto della proprietà industriale e della concorrenza, diritto societario, diritto d'autore, diritto dell'informatica e delle nuove tecnologie, in cui ha sviluppato esperienze e competenze nella protezione dei dati personali, internet governance, diritti degli utenti e information society.

Abstract

Il concetto di autenticità nell’era digitale subisce una profonda evoluzione: da qualità binaria legata all’unicità dell’originale diventa un processo documentabile, trasparente e relazionale. La rivoluzione digitale dissolve la distinzione tra originale e copia, trasformando i concetti tradizionali di paternità e integrità dell’opera, portandoci oltre l’epoca della riproducibilità tecnica descritta da Benjamin verso quella che Jean Baudrillard ha definito “era della simulazione”. Superando la lettura apocalittica baudrillardiana, che vedeva in questo processo una perdita irrimediabile dell’autentico, questo contributo propone una lettura alternativa e costruttiva del fenomeno. Il modello del palinsesto offre una chiave interpretativa per superare la dicotomia autentico/inautentico, valorizzando la tracciabilità e la trasparenza delle trasformazioni creative.

Il palinsesto come metafora dell’autenticità contemporanea

Nel mondo antico, un palinsesto era una pergamena il cui testo originale veniva cancellato per far posto a nuova scrittura, pur conservando tracce invisibili del contenuto precedente. Questa stratificazione di significati, questa convivenza di passato e presente sulla stessa superficie, si ripropone oggi nell’architettura stessa delle opere digitali.

L’autenticità, lungi dall’essere un valore assoluto e immutabile, si rivela essere un costrutto storico in costante evoluzione, le cui fondamenta vengono oggi scosse dalla rivoluzione digitale. Paradossalmente, nell’epoca in cui disponiamo del maggior numero di strumenti tecnologici per la verifica e l’attestazione, l’autenticità sembra dissolversi tra le nostre dita, trasformandosi in un concetto sempre più evanescente.

La proprietà intellettuale si è storicamente fondata su nozioni di originalità, unicità e attribuzione certa – concetti che presuppongono una visione binaria dell’autenticità. Un’opera è autentica o non lo è, un autore è identificabile o non lo è. Questa riflessione si propone di superare tale dicotomia, suggerendo un passaggio dall’autenticità come qualità binaria all’autenticità come processo stratificato – un palinsesto digitale in cui diversi livelli di creazione, trasformazione e rielaborazione convivono e si influenzano reciprocamente.

 

Archeologia dell’autentico: evoluzione storica di un concetto giuridico

Il concetto di autenticità, nella sua accezione giuridica moderna, affonda le radici nell’emergere del diritto d’autore come disciplina autonoma. Lo Statuto di Anna del 1710, considerato la prima legge organica sul copyright, già presupponeva l’esistenza di un ‘originale’ identificabile, di un autore certo e di una relazione univoca tra i due. Gli strumenti di autenticazione – dalla firma autografa al deposito legale – nascono proprio per cristallizzare questa relazione, per renderla verificabile e, dunque, giuridicamente tutelabile.

L’unicità dell’originale diviene così il fondamento della protezione autoriale: il manoscritto, il quadro, la partitura autografa sono gli oggetti primari su cui si costruisce l’edificio della tutela. Le copie, necessariamente imperfette nell’era analogica, acquisiscono valore e protezione solo in virtù della loro fedeltà all’originale, in una gerarchia di autenticità che posiziona l’opera primigenia al vertice di una piramide valoriale e giuridica.

La prima vera crisi di questo modello si verifica con l’avvento delle tecnologie di riproduzione di massa. La fotografia, la registrazione sonora, la stampa industriale pongono interrogativi fondamentali: cosa rende “autentica” un’opera quando può essere riprodotta in copie potenzialmente identiche? Come teorizzato da Walter Benjamin nel 1936, “la riproduzione ripete l’opera d’arte privandola della sua autenticità, di quella presenza unica e irripetibile che ne costituiva l’essenza. La fruizione si trasforma in consumo, mentre la moltiplicazione delle copie dissolve quell’aura che era legata all’unicità dell’originale”[1].

La risposta del sistema giuridico a questa prima crisi è stata principalmente un riorientamento dal controllo dell’originale al controllo delle copie. Non potendo più fondare la tutela sull’unicità dell’opera, il diritto d’autore si è trasformato gradualmente in un diritto di controllo sulla circolazione delle riproduzioni. È un primo, significativo passaggio dal paradigma dell’autenticità come “stato” a quello dell’‘autenticità come “processo controllato”.

Questo percorso evolutivo ha conosciuto declinazioni differenti nelle diverse tradizioni giuridiche. L’approccio del copyright anglosassone, pragmaticamente orientato alla protezione degli interessi economici, ha tendenzialmente privilegiato gli aspetti patrimoniali dell’autenticità, concentrandosi sulla possibilità di identificare con certezza il titolare dei diritti economici. Il droit d’auteur continentale, invece, ha sviluppato una concezione più personalistica, in cui l’autenticità è inscindibile dal legame personale tra autore e opera.

Particolarmente significativa in questo contesto è l’evoluzione del diritto morale d’autore, specialmente nelle giurisdizioni di civil law. Il diritto all’integrità dell’opera – il diritto dell’autore di opporsi a modifiche che possano pregiudicare il suo onore o la sua reputazione – rappresenta forse la più compiuta codificazione dell’autenticità come valore giuridico. L’opera deve rimanere “autentica” non solo nella sua materialità, ma anche nel suo significato, nella sua essenza artistica o intellettuale.

 

La dissoluzione dei confini

L’avvento del digitale ha provocato una trasformazione ancora più radicale. Nel dominio digitale, la distinzione tra originale e copia diventa tecnicamente inconsistente: una copia digitale è, bit per bit, identica all’originale. L’equivalenza perfetta delle copie digitali dissolve la gerarchia valoriale su cui si fondava gran parte dell’edificio giuridico dell’autenticità. Non siamo più nell’era della semplice riproduzione, ma in quella della simulazione teorizzata da Jean Baudrillard, dove i segni del reale sostituiscono il reale stesso. Tuttavia, contrariamente alla visione pessimistica baudrillardiana, questa trasformazione non segna necessariamente la fine dell’autenticità, ma piuttosto l’emergere di una sua nuova concezione[2].

La circolazione delle opere nell’ambiente digitale contribuisce ulteriormente a questa trasformazione, comportando una progressiva decontestualizzazione. A differenza degli oggetti fisici, la cui provenienza poteva essere documentata attraverso certificati, firme o perizie, i file digitali vengono continuamente trasferiti, modificati e riutilizzati, perdendo le tracce del loro percorso. Un file che circola sul web viene continuamente decontestualizzato e ricontestualizzato, in un processo che ne diluisce l’autenticità originaria fino a renderla, in molti casi, irrecuperabile.

A questa deterritorializzazione dell’opera si accompagna un’erosione della figura dell’autore singolo come garante di autenticità. La creazione collaborativa e l’authorship distribuita sono sempre più la norma piuttosto che l’eccezione: dal software open source ai progetti wiki, dalle opere remixate ai contenuti generati dalle comunità, l’attribuzione univoca diventa problematica, quando non impossibile.

In questo contesto, le piattaforme digitali assumono un ruolo sempre più centrale come intermediari dell’autenticità. Sono i protocolli di caricamento, gli algoritmi di moderazione, i sistemi di verifica implementati dalle piattaforme a determinare, in ultima analisi, ciò che viene riconosciuto come “autentico” all’interno dell’infosfera.

La dimensione temporale dell’autenticità subisce una profonda trasformazione. Le opere digitali sono caratterizzate da una temporalità fluida, in cui il versioning, le iterazioni e gli aggiornamenti continui rendono problematico identificare una versione “definitiva” e quindi “autentica”. Un software, un sito web, un documento collaborativo possono evolversi nel tempo mantenendo la stessa identità ma cambiando continuamente nei contenuti.

Questo fenomeno pone interrogativi fondamentali: quando un’opera non è mai “definitiva”, come stabilirne l’autenticità? Come applicare concetti come l’integrità dell’opera a creazioni in costante evoluzione? La risposta tradizionale del diritto d’autore – fissare l’opera in un supporto stabile – appare sempre più inadeguata di fronte alla fluidità intrinseca del panorama contemporaneo.

 

L’autenticità come stratificazione

Di fronte a queste sfide, appare necessario superare la dicotomia autentico/inautentico che ha tradizionalmente informato il diritto della proprietà intellettuale. L’autenticità non può più essere concepita come una qualità binaria, ma va ripensata come uno spettro, un gradiente che ammette infinite sfumature e modalità di manifestazione.

Un modello di valutazione multifattoriale dell’autenticità potrebbe considerare elementi quali la trasparenza del processo creativo, la documentabilità delle fonti, la tracciabilità delle trasformazioni, il grado di intervento umano, la riconoscibilità dei contributi individuali all’interno di opere collaborative. Non si tratterebbe più di stabilire se un’opera è autentica, ma di valutare come e in che misura manifesta diverse forme di autenticità.

La stratificazione emerge come nuovo modello interpretativo dell’autenticità. Il contributo originale non va più concepito come un’entità isolata e autosufficiente, ma come uno strato in un palinsesto più ampio, in cui diversi livelli di creazione e trasformazione si sovrappongono e interagiscono.

La trasparenza dei layer diventa, in questo modello, il requisito fondamentale per l’autenticazione. Non è più l’unicità a garantire l’autenticità, ma la possibilità di identificare e distinguere i diversi strati che compongono l’opera, di riconoscere i vari contributi e le diverse trasformazioni che l’hanno plasmata.

L’attenzione si sposta dall’opera finale al percorso di creazione. La documentazione del processo creativo acquisisce un valore giuridico e culturale fondamentale: non è più solo un elemento accessorio, ma diventa parte integrante dell’autenticità dell’opera.

Le nuove tecnologie di tracciamento della provenienza, dalla blockchain ai sistemi di versionamento avanzato, offrono strumenti potenti per implementare questo nuovo paradigma. Esse permettono di registrare in modo trasparente e immodificabile la storia di un’opera digitale, le sue trasformazioni, i contributi che l’hanno plasmata – in altre parole, di preservare e rendere leggibile il palinsesto digitale nella sua stratificazione.

 

Casi emblematici: l’autenticità alla prova

La remix culture e i suoi paradossi giuridici

La remix culture rappresenta forse il terreno più fertile per osservare le tensioni tra la concezione tradizionale dell’autenticità e le nuove pratiche creative. Nel sampling musicale, nell’appropriation art, nel mash-up culturale, l’autenticità si manifesta non come fedeltà a un originale, ma come trasparenza della trasformazione, come onestà intellettuale nel riconoscimento delle fonti.

La giurisprudenza recente in materia rivela profonde contraddizioni: se alcune decisioni cominciano a riconoscere il valore trasformativo delle pratiche di remix[3], altre rimangono ancorate a una visione proprietaria ed esclusiva dell’opera originale. Queste contraddizioni riflettono la difficoltà di adattare categorie giuridiche nate in un’epoca di autenticità binaria a un ambiente culturale caratterizzato dalla continua trasformazione e rielaborazione delle opere.

L’Intelligenza Artificiale come co-autore

L’emergere dell’Intelligenza Artificiale generativa introduce ulteriori complessità nel dibattito sull’autenticità. Le opere generate da algoritmi sollevano interrogativi fondamentali: chi è il vero autore? Qual è il ruolo dell’intervento umano nella programmazione, nell’addestramento, nella selezione dei risultati? Come stabilire l’autenticità di un’opera che emerge dall’interazione tra intelligenza umana e artificiale?

I sistemi di co-creazione uomo-macchina rappresentano la frontiera più avanzata di questa sfida. In essi, l’autenticità non può più essere ricondotta a un’unica fonte identificabile, ma emerge dalla documentazione trasparente dell’interazione, dalla chiarezza sui ruoli rispettivi dell’umano e dell’algoritmo, dalla possibilità di tracciare il processo decisionale che ha portato al risultato finale[4].

Il fenomeno delle born-digital works

Un terzo caso emblematico è rappresentato dalle opere ‘born-digital’, quelle creazioni che non solo esistono in formato digitale, ma che non potrebbero esistere in alcun altro formato. I Non-Fungible Tokens (NFT) rappresentano un tentativo di reintrodurre scarsità e unicità in un ambiente, quello digitale, caratterizzato dalla riproducibilità perfetta. La tokenizzazione dell’autenticità è un fenomeno complesso, che cerca di ricreare artificialmente in ambiente digitale alcune caratteristiche dell’autenticità pre-digitale.

La certificazione digitale si propone come strumento alternativo di autenticazione, spostando l’accento dall’unicità materiale alla tracciabilità della provenienza. Questo approccio, pur offrendo nuove possibilità di verifica, suggerisce un’evoluzione più che una sostituzione del concetto di autenticità: da qualità assoluta a relazione verificabile tra opera, creatore e fruitore.

 

Verso un nuovo framework giuridico dell’autenticità

Alla luce di queste trasformazioni, appare necessario ripensare i requisiti di protezione della proprietà intellettuale. Il criterio dell’originalità, centrale nelle legislazioni sul diritto d’autore, potrebbe essere affiancato o integrato da quello della trasparenza della provenienza. La tutela potrebbe non dipendere più solo dal grado di novità o creatività dell’opera, ma anche dalla chiarezza con cui vengono documentati i processi di creazione, trasformazione e sovrapposizione di contributi.

Parallelamente, i sistemi di attribuzione dovrebbero evolvere per riconoscere la complessità delle opere stratificate. Non si tratterebbe più di identificare un singolo autore, ma di mappare le diverse forme di contributo che hanno plasmato l’opera, riconoscendo i vari strati del palinsesto digitale.

Sul piano tecnico, lo sviluppo di metadati forensi e di tecniche di watermarking avanzato offre strumenti potenti per implementare questo nuovo modello. Queste tecnologie permettono di incorporare nell’opera stessa informazioni sulla sua provenienza, sui suoi autori, sulle trasformazioni subite – in altre parole, di rendere leggibile il palinsesto digitale[5]. I registri distribuiti, come la blockchain, possono fungere da garanti dell’autenticità processuale, registrando in modo trasparente e immodificabile la storia di un’opera digitale. Non si tratta più di certificare un “originale”, ma di documentare un processo evolutivo, una stratificazione di contributi e trasformazioni.

Sul piano normativo, emergono proposte per un diritto d’autore che riconosca e tuteli la complessità creativa contemporanea. Le licenze multilivello, che definiscono diritti e responsabilità differenziati per i vari livelli di contributo a un’opera complessa, rappresentano un tentativo di adattare gli strumenti giuridici alla natura della creatività contemporanea.

Allo stesso modo, il riconoscimento giuridico di forme di authorship distribuita e fluida appare sempre più necessario. Le categorie tradizionali di autore, coautore, elaboratore si rivelano inadeguate a catturare la complessità dei processi creativi contemporanei, che richiedono una reinterpretazione degli strumenti concettuali e una rivisitazione degli istituti giuridici esistenti alla luce della stratificazione creativa.

 

L’autenticità come valore relazionale

Le trasformazioni descritte nei paragrafi precedenti ci invitano a riconsiderare la natura più profonda dell’autenticità contemporanea. Essa emerge ora come valore fondamentalmente relazionale: non risiede nell’opera in sé, ma nella rete di connessioni che la legano ai suoi creatori, alle sue fonti, ai suoi fruitori – in altre parole, all’intero tessuto culturale in cui si inserisce.

Questo comporta una ridefinizione dei ruoli dei diversi attori nella costruzione dell’autenticità. Creatori, piattaforme, istituzioni culturali, utenti: ciascuno contribuisce, con modalità diverse, a costruire e preservare l’autenticità come valore condiviso. Si tratta di un passaggio dalla protezione dei diritti individuali alla responsabilità verso la cultura collettiva.

Il futuro dell’autenticità si delinea così come un percorso dal requisito legale alla pratica etica. Più che un criterio normativo esterno, l’autenticità diventa un principio guida interno alle pratiche creative, un impegno alla trasparenza, alla documentazione, al riconoscimento delle fonti e dei contributi.

In questo senso, il palinsesto digitale non è solo una metafora dell’autenticità contemporanea, ma anche un modello operativo per ripensare la proprietà intellettuale nell’era della simulazione. Un modello che riconosce la stratificazione come ricchezza, la trasformazione come valore, la trasparenza come principio fondante di un panorama culturale rinnovato.


NOTE

[1] L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin, 1936. Per Benjamin l’aura è una qualità specifica che un’opera d’arte, o un oggetto, possiede quando la percepiamo come unica e irripetibile, legata al suo contesto originale e al suo particolare momento storico. È l’apparizione di una lontananza, anche quando è vicina, che si manifesta nell’unicità e nella distanza.

[2] Simulacri e simulazioni, Jean Baudrillard, 1981.

[3] CGUE C-476/17: la Corte ha riconosciuto, dopo quasi vent’anni di battaglia legale, che il campionamento di una piccola porzione di un brano per creare un’opera nuova può essere considerato legittimo in determinate circostanze, rappresentando un primo passo verso il riconoscimento giuridico dell’autenticità stratificata.

[4]Non è certamente sufficiente a tal fine l’ammissione della controparte di aver utilizzato un software per generare l’immagine […] si sarebbe reso necessario un accertamento di fatto per verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento avesse assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa”. Cass. Civ., ordinanza n. 1107 del 16 gennaio 2023, sul riconoscimento della tutelabilità autoriale di un’opera generata con un software, sebbene non di intelligenza artificiale.

[5] Un parallelo significativo si trova nel software open source. I sistemi di controllo versione come Git implementano una concezione stratificata dell’autenticità: ogni contributo è firmato digitalmente, tracciato cronologicamente e attribuito al suo autore, creando un palinsesto digitale perfettamente documentato. La commit history di un progetto rappresenta un’attestazione di paternità distribuita, mentre le licenze aperte (GPL, MIT) regolano giuridicamente questa stratificazione creativa, consentendo elaborazioni successive pur preservando la genealogia dell’opera.

PAROLE CHIAVE: autenticità / blockchain / born-digital works / diritto d’autore / intelligenza artificiale generativa / NFT / originalità / palinsesto digitale / proprietà intellettuale / remix culture

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