• Avvocato, svolge l'attività professionale giudiziale nel campo del diritto penale e attività di consulenza nel campo del diritto delle nuove tecnologie e della tutela dei dati personali.

Abstract

Il contributo si propone di esaminare gli effetti della diffusione dei sistemi di Intelligenza Artificiale nel campo delle opere d’arte. In tale prospettiva, vengono esaminate le questioni inerenti il funzionamento dei sistemi di Intelligenza Artificiale generativa con particolare riferimento al concetto dei “prompt”, vale a dire delle istruzioni fornite dall’utente alla macchina perché vengano generati contenuti. Dal punto di vista strettamente giuridico, viene affrontata la questione della necessaria presenza dell’essere umano perché un’opera d’arte possa dirsi protetta dalla disciplina del diritto d’autore, sia con riferimento al sistema statunitense del Copyright Act sia con riferimento alla legge italiana sul diritto d’autore, n. 633 del 1941. Attraverso l’analisi di due casi concreti, si afferma l’attualità del requisito della necessaria “dimensione umana” dell’opera d’arte e, in termini generali, il concetto dell’ordinamento giuridico quale sistema normativo finalizzato a regolare fenomeni umani.

Autenticità ed Intelligenza Artificiale: un nuovo umanesimo rispetto alla prepotenza del calcolo binario

Il ritorno all’umanesimo, inteso quale orientamento che riprende “il senso e i valori affermatisi nella cultura umanistica, dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della riflessione filosofica”[1], rappresenta una delle esigenze più impellenti  della realtà attuale, sempre più caratterizzata dalla perdita della “dimensione umana” e da una creatività che rischia di essere relegata ai risultati di un motore di ricerca, come tale privo di quella “memoria” che, in quanto portatore di esperienza, non è mera rielaborazione algoritmica di informazioni provenienti da dataset, ma vive di un sentimento, l’emozione, immaginabile solo nella persona.

Non è un caso che, in Blade Runner, film che ha anticipato molti dei temi legati agli effetti della creazione di umanoidi sulle relazioni interpersonali, il metodo per individuare i replicanti fosse quello di indagare, attraverso l’osservazione della pupilla, l’eventuale assenza di memoria e, dunque, di emozioni.

In questa prospettiva, l’autenticità, declinazione di ciò che è autentico e, dunque, vero, non è solo rilevante dal punto di vista giuridico – si pensi ad esempio al nuovo disegno di legge che punisce, quale illecito penale, il deep fake ovvero alla problematica delle fake news – ma è una dimensione imprescindibile per consentire di arginare la prepotenza del calcolo binario e dei sistemi di intelligenza artificiale idonei a generare contenuti artistici.

L’opera d’arte, dunque, sarà autentica in quanto realmente proveniente dal suo autore cosicché essa, massima espressione della creatività umana, diviene anche cartina al tornasole per verificare in che termini l’uomo ha mantenuto ferma la sua prerogativa di autore dell’opera stessa, unico in grado di trasferirle le sue emozioni e, dunque, la sua memoria storica.

 

Intelligenza artificiale generativa e realizzazione di contenuti autoriali

Il Regolamento Europeo n. 2024/1698, che stabilisce regole armonizzate sull’Intelligenza Artificiale,  non contiene una definizione di Intelligenza Artificiale “generativa”, sebbene la stessa possa desumersi da quanto indicato nel considerando n. 105 dello stesso Regolamento, che rinvia ai “grandi modelli di IA generativa, in grado di generare testo, immagini e altri contenuti”: essi, secondo lo stesso considerando “presentano opportunità di innovazione uniche, ma anche sfide per artisti, autori e altri creatori e per le modalità con cui i loro contenuti creativi sono creati, distribuiti, utilizzati e fruiti”.

La capacità di generare contenuti, dunque, costituisce una prerogativa dei sistemi di Intelligenza Artificiale generativa: in particolare, dal punto di vista tecnico, tali sistemi richiedono la predisposizione e l’invio di “prompt”, ossia una interazione tra utente ed elaboratore, in forza della quale il primo impartisce al secondo comandi testuali idonei a generare output che possono essere qualificati “opere autoriali”.

Il “prompt”, dunque, contiene istruzioni più o meno dettagliate perché il sistema di Intelligenza Artificiale possa elaborare il contenuto richiesto: maggiore sarà il dettaglio delle istruzioni fornite e maggiormente dettagliato sarà il contenuto, grafico o testuale, dell’output.

Queste prime considerazioni permettono di evidenziare due aspetti di rilievo al fine dell’analisi del rapporto tra Intelligenza Artificiale e diritto d’autore: l’apporto “umano” per la generazione dei contenuti e l’idoneità degli stessi ad essere qualificati come “opere d’arte”.

Un terzo aspetto che, per economia, non potrà essere trattato in questa sede è quello inerente la tutela dei diritti su quei contenuti autoriali che costituiscono il dataset necessario alla elaborazione dell’output richiesto.

 

La dimensione umana della creatività nella legge n. 633/1941

Il fondamento normativo della tutela autoriale, nel nostro ordinamento giuridico, è costituito dalla legge n. 633/1941 contenente disposizioni sulla “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.

L’articolo 1, comma 1, della l.d.a. stabilisce che “Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”: com’è facile rilevare da una semplice lettura, la norma non si limita ad individuare le tipologie delle opere dell’ingegno – meglio specificate dall’articolo 2 e seguenti – ma pone il requisito indefettibile della “creatività” alla base della tutela giuridica delle stesse.

In una decisione che ha riguardato una delle immagini più iconiche dell’impegno nella lotta contro il fenomeno criminale mafioso, quella che ritrae i Magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino durante un convegno pubblico, la Corte di Cassazione ha confermato il principio per il quale “Il discrimine tra opera protetta e semplice fotografia è incentrato nella capacità creativa dell’autore, vale a dire nella sua impronta personale, nella scelta e studio del soggetto da rappresentare e nella realizzazione e rielaborazione dello scatto, tali da suscitare suggestioni che trascendono il comune aspetto della realtà rappresentata”.

In forza di tale principio, la Corte ha precisato che “non fruiscono di protezione quelle fotografie che non richiedono alcun apporto creativo, poiché si limitano a riprodurre fedelmente la realtà, senza alcuna personale rielaborazione dell’autore”: nel caso in esame, la stessa Corte ha negato dignità autoriale allo scatto fotografico in questione considerando lo stesso “semplice fotografia”[2].

L’aspetto inerente l’impronta personale dell’autore dell’opera d’arte e, dunque, per ciò che interessa in questa sede, la sua provenienza da un essere umano, è ben messo in evidenza in altra decisione della Corte di Cassazione, la numero 11413 del 2024, nella quale è stato posto il principio a mente del quale “perché un oggetto possa essere considerato originale, è necessario e sufficiente che questo rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; per contro” prosegue la Corte “quando la realizzazione di un oggetto è stata determinata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o altri vincoli che non lascino margine per la libertà creativa, non può ritenersi che tale oggetto presenti l’originalità necessaria per poter costituire «un’opera»”.

Com’è di tutta evidenza, l’impronta personale dell’essere umano creatore dell’opera d’arte acquisisce importanza rispetto alle fredde “considerazioni di carattere tecnico” ed alle semplici “regole” che – se non valorizzate dalla creatività dell’autore – non sono di per sé idonee a generare un’opera d’arte rendendo del tutto irrilevante il giudizio sull’eventuale “impatto visivo” della stessa “dal punto di vista estetico”.

 

La dimensione umana nel contenuto generato mediante sistemi di Intelligenza Artificiale

La possibilità concreta che un contenuto artistico sia generato mediante un sistema di Intelligenza Artificiale non determina necessariamente la tutela giuridica del contenuto stesso: essa richiede, infatti, che il fatto concreto sia riconducibile ad una fattispecie astratta, oggetto di previsione normativa, alla quale il legislatore ha ricondotto diritti e facoltà, divieti ed obblighi, tutti giuridicamente rilevanti ovvero idonei a generare conseguenze giuridiche collegate al loro esercizio o alla loro violazione.

In tale prospettiva, perché possa parlarsi di tutela giuridica dell’opera d’arte, è necessario che la stessa “rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative” come sottolineato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 11413/2024 citata innanzi e che rinvia al requisito normativo della “creatività” posto dall’articolo 1 comma 1 della legge n. 633/1941.

Per tale ragione, è necessario verificare, in primo luogo, se il contenuto artistico ottenuto attraverso un sistema di Intelligenza Artificiale sia stato generato mediante l’interazione uomo/macchina e, in secondo luogo, che ruolo abbia avuto detta interazione – che si sostanzia nella predisposizione di istruzioni testuali, i “prompt” – nella creazione dell’opera.

a) Il caso “Thaler II”: creativity machine e contenuto autoriale

In relazione al primo aspetto, assume particolare rilievo la decisione emessa dalla Corte di Appello degli Stati Uniti, distretto della Colombia, nel caso denominato “Thaler II”[3]: in particolare, dalla motivazione della decisione e dalle parole del Giudice Millet si ricorda che “questo caso solleva una questione resa saliente dai recenti progressi nell’intelligenza artificiale: una macchina non umana può essere considerata un autore ai sensi del Copyright Act del 1976?”.

“Un informatico” prosegue il Giudice Millet “attribuisce la paternità di un’opera d’arte al funzionamento di un software. Il Dr. Stephen Thaler ha creato un’Intelligenza Artificiale generativa chiamata «Creativity Machine»”: essa  ha generato “un’immagine che il Dr. Thaler ha intitolato «A Recent Entrance to Paradise»” in relazione alla quale lo stesso Dr. Thaler “ha presentato una domanda di registrazione” all’Ufficio Copyright degli Stati Uniti, nella quale egli “ha indicato la «Creativity Machine» come unico autore dell’opera e se stesso come unico proprietario” della stessa.

Tale domanda è stata respinta dall’Ufficio brevetti “sulla base del suo consolidato requisito di paternità umana” che “richiede che un’opera sia stata creata in prima istanza da un essere umano per poter essere idonea alla registrazione del copyright”. Sul punto, la Corte ha affermato che “la legge sul copyright richiede che tutte le opere siano state create in primo luogo da un essere umano” cosicché, rilevato che “la domanda di registrazione del copyright presentata dal Dott. Thaler indicava la Creativity Machine come unico autore dell’opera” e che la Creativity Machine non è un essere umano “l’Ufficio per il copyright ha opportunamente respinto la domanda del Dott. Thaler”.

La Corte di Appello ha precisato che “numerose disposizioni del Copyright Act identificano gli autori come esseri umani e definiscono le «macchine» come strumenti utilizzati dagli esseri umani nel processo creativo, piuttosto che come creatori stessi” cosicché, poiché molte di tali disposizioni “hanno senso solo se l’autore è un essere umano”, la Corte di Appello ha affermato che “la migliore interpretazione del Copyright Act è che la paternità umana sia richiesta per la registrazione”.

Com’è di tutta evidenza, nel caso in esame il Giudice si è pronunciato sulla base del contenuto della domanda di registrazione dell’opera d’arte, da cui si evinceva che la stessa opera fosse stata generata dalla “Creativity Machine”, che l’autore di tale sistema di IA generativa fosse il Dr. Thaler e che lo stesso, in forza di ciò, chiedesse di vedersi riconosciuta la proprietà dell’opera denominata “A Recent Entrance to Paradise”.

b) L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 1107/2023: l’uomo dietro l’algoritmo

Queste considerazioni portano ad esaminare il caso di generazione di un contenuto autoriale attraverso un sistema di Intelligenza Artificiale che, però, ha operato sulla base della interazione testuale con l’essere umano il quale, interrogando il sistema attraverso i “prompt”, ha “guidato” la generazione del contenuto autoriale.

La Corte di Cassazione, sezione civile, ha esaminato il caso della ritenuta violazione del diritto d’autore da parte della RAI, lamentata dalla creatrice di un’opera grafica che, secondo la domanda dell’attrice, era stata utilizzata come scenografia fissa per il Festival di Sanremo del 2016.

Sia il Tribunale di Genova, in primo grado, che la Corte di Appello avevano riconosciuto detta violazione, condannando la RAI al risarcimento del danno in favore della creatrice dell’opera.

Avverso tale decisione era stato proposto ricorso, dinanzi alla Corte di Cassazione, nel quale la convenuta aveva lamentato la violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2575 e 2576 c.c. e alla L. 22 aprile 1941, n. 633, artt. 1,2 e 6.

In particolare la ricorrente si doleva del fatto che la Corte di appello avesse erroneamente qualificato come opera dell’ingegno “una immagine generata da un software e non attribuibile a una idea creativa della sua supposta autrice”, sostenendo che l’opera dell’architetto B. fosse “una immagine digitale, a soggetto floreale, a figura c.d. «frattale», ossia caratterizzata da autosimilarità, ovvero da ripetizione delle sue forme su scale di grandezza diverse” e che fosse stata generata “da un software, che ne [aveva] elaborato forma, colori e dettagli tramite algoritmi matematici”. In conclusione, secondo la ricorrente, “la pretesa autrice avrebbe solamente scelto un algoritmo da applicare e approvato a posteriori il risultato generato dal computer”.

Sul punto, la Corte, pur nella consapevolezza dell’inammissibilità del ricorso poiché la relativa questione non era stata oggetto di doglianza nel corso dei giudizi di merito, ha precisato che la circostanza, pacificamente ammessa dalla controparte, di aver utilizzato un software per la generazione dell’immagine “è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore”.

Tale affermazione è espressione del principio, riportato nella massima, in forza del quale “in tema di diritto d’autore, il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento l’art. 1 della legge n. 633 del 1941, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, ma si riferisce, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore”.

Dall’esame di questa pronuncia della Corte di legittimità, si evince che, allorquando sia presente il contributo umano, il contenuto così generato – nel caso specifico, una immagine – può assurgere al rango di opera autoriale espressione di creatività e, dunque, può essere protetta ai sensi della legge n. 633/1941.

La questione lasciata aperta dalla pronuncia della Corte riguarda, però, proprio l’incidenza dell’apporto umano e, dunque, l’analisi delle istruzioni date dall’uomo alla macchina: solo questa analisi potrà consentire di valutare in che termini la “creatività umana”, tradotta in “prompt”, ha inciso sulla elaborazione del contenuto e dunque quanto lo stesso sia conforme al dettato dell’articolo 1 della legge n. 633/1941.

La creatività, intesa quale espressione autentica della persona mediante l’opera d’arte, continua a rappresentare, nell’ordinamento giuridico e nelle pronunce giurisprudenziali, il baluardo del “nuovo umanesimo” in una realtà pericolosamente dominata da nuove tecnologie sempre più invasive, tali da non essere al servizio di chi le adopera ma esse stesse protagoniste silenziose della rivoluzione digitale.

In questa prospettiva, l’ordinamento giuridico, prima con il Regolamento Europeo n. 1689/2024 e poi con il DDL n. 2316/2025 (attualmente all’esame della Camera dei Deputati), contenente una modifica dell’articolo 1 della l.d.a, nella misura in cui intende prescrivere che l’opera d’arte deve provenire da un essere umano[4], si riappropria della sua prerogativa, quella di disciplinare i rapporti fra le persone, e sottolinea la funzione meramente ausiliaria delle macchine, ribadendo che il diritto è un fenomeno di relazione tra persone.

 


NOTE

[1]     Voce “Umanesimo”, in Treccani, enciclopedia on line, a questo link, consultato in data 2 maggio 2025

[2]     Corte di Cassazione sentenza n. 33599/2024.

[3]     Decisione della Corte di Appello degli Stati Uniti, distretto di Colombia, del 18 marzo 2025 rinvenibile a questo link, consultato il 3 maggio 2025.

[4]     Il testo è disponibile a questo link, consultato il 4 maggio 2025.

PAROLE CHIAVE: autenticità / caso DABUS / contenuti autoriali / copyright / creatività / creativity machine / dimensione umana / diritto d’autore / essere umano / IA Act / legge n. 633 del 1941 / legge sul diritto d’autore / opera d’arte / sistemi di intelligenza artificiale generativa / Stephen Thaler

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