Abstract

Nel dialogo tra arte, tecnologia e dati, il progetto LAPSE di Pier Alfeo offre una lettura alternativa del concetto di autenticità digitale. Alimentata da dati acustici reali del telescopio sottomarino KM3NeT, l’opera genera un archivio sensibile che restituisce suoni sommersi e visioni mutevoli. L’articolo propone una riflessione sulla sostenibilità digitale come pratica quotidiana, capace di trasformare l’informazione in esperienza percettiva. Dalla valorizzazione dei dati pubblici alla didattica, passando per il riuso creativo e la dimensione relazionale del dato, si delinea un approccio che integra archiviazione, consapevolezza e cittadinanza digitale.


Ascolta “estratto_LAPSE_PhEST” su Spreaker.

Introduzione

Nell’era dell’informazione algoritmica e della riproducibilità infinita, parlare di autenticità digitale significa inevitabilmente interrogarsi su ciò che è vero, originale, non manipolato. Ma anche su ciò che vale la pena archiviare, proteggere, trasmettere.

Fino a poco tempo fa, l’autenticità era una questione principalmente archivistica: riguardava la certezza giuridica di un documento, l’affidabilità di una fonte, la validazione di una firma. Oggi, invece, è diventata un concetto fluido e trasversale, che si muove tra le maglie della cybersecurity, della compliance normativa, dell’intelligenza artificiale e della percezione stessa della realtà.

In questa cornice, la sostenibilità digitale si pone come uno strumento critico: una lente attraverso cui osservare non solo la qualità e la durata dei sistemi informativi, ma anche la loro capacità di rispettare e restituire il reale in modo consapevole.

Per questo numero della rivista digeat, dedicato al tema “Il dominio dell’autenticità tra fake news, cybersecurity e archiving”, ho deciso di esplorare un territorio meno battuto: quello dell’autenticità sensibile, percettiva, esperienziale. Un’autenticità che si ascolta, si visualizza, si vive.

Dati, arte e archiviazione sensibile: il progetto LAPSE

L’autenticità nell’epoca digitale può assumere forme inattese. Talvolta la si incontra non in un documento firmato digitalmente, ma in un paesaggio sonoro che emerge dal fondo del mare.

È questa la direzione intrapresa da Pier Alfeo, artista sonoro e docente di Multimedialità nei Conservatori, con il suo progetto LAPSE: un’installazione audiovisiva generativa che unisce scienza, tecnologia e arte per restituire voce e memoria a ecosistemi marini silenziati dal rumore umano.

Realizzato in collaborazione con il gruppo di Acustica dell’INFN – Laboratori Nazionali del Sud e alimentato dai dati acustici reali del telescopio sottomarino KM3NeT, installato al largo di Portopalo di Capo Passero, in Sicilia, LAPSE è un sistema interattivo che trasforma i segnali provenienti dagli idrofoni sottomarini in una materia digitale viva e mutevole: un paesaggio visivo e sonoro in costante evoluzione.

La parola “lapse”, in inglese, indica un intervallo, una sospensione, o una perdita temporanea di memoria. Ed è proprio attorno al tema della durata, del tempo e della memoria che ruota l’opera: un ambiente immersivo in cui particelle digitali fluttuano come plancton visivo, trasportate da forze simulate che richiamano le correnti marine, mentre una composizione sonora generata in tempo reale restituisce un flusso musicale ipnotico, stratificato, sempre diverso.

Ma LAPSE non è solo esperienza sensoriale. È anche un sistema altamente tecnologico, costruito su una catena di software interoperabili che dialogano in tempo differito e in tempo reale. Il sistema, denominato LAPSE.Systems, si articola in quattro ambienti principali:

  • Mathematica (Wolfram Language), con cui si generano strutture tridimensionali (PointCloud) attraverso algoritmi stocastici controllati;
  • TouchDesigner, dove queste PointCloud diventano visualizzazioni dinamiche, guidate in tempo reale dai segnali acustici captati dagli idrofoni;
  • MAX/MSP, che traduce l’andamento visivo in parametri sonori mediante un dispositivo MIDI personalizzato chiamato LAPSE.Scanner*;
  • Ableton Live, che elabora questi parametri e li converte in una composizione sonora interattiva e immersiva, utilizzando sintesi granulare e altre sintesi sonore.

Gli ultimi tre software comunicano tra loro tramite il protocollo OSC (Open Sound Control), in un flusso continuo e adattivo, che rende l’opera generativa, non ripetibile, viva.

Il risultato sonoro si riflette anch’esso nel dominio dell’autenticità sonora di origine, così il tentativo dell’artista di restituire una composizione che segua gli andamenti di questi paesaggi sonori sottomarini stessi, “facendo fluire” e riscoprire ciò che lontano da noi esiste, e che è importante curare perché è tutto già da sé musica (cit. John Cage).

 

Il dato acustico viene convertito in immagine, l’immagine in suono, il suono in narrazione. L’ autore del sistema multimediale agisce come facilitatore: non “controlla” il sistema, ma lo orienta, rendendo leggibile un processo complesso e caotico. Un gesto di cura digitale che restituisce senso al disordine.

In questo modo, l’opera diventa anche un archivio digitale non convenzionale: un dispositivo che conserva non l’informazione in forma statica, ma la traccia sonora di un ambiente vivo, la memoria acustica del nostro impatto sul mare. Un archivio sensibile che non certifica, ma testimonia.

Un’opera che non solo interroga la nostra percezione, ma ci restituisce il valore profondo della tecnologia come strumento di ascolto, rappresentazione e custodia del reale.

 

I dati come bene comune: dall’informazione alla consapevolezza

Nell’opera LAPSE, i dati non sono semplici numeri da analizzare o visualizzare: sono tracce di realtà viva, raccolte, trasformate e restituite sotto forma di esperienza sensibile. Sono dati ambientali registrati da idrofoni, ma anche dati relazionali: perché portano con sé il peso dell’interazione umana con l’ambiente, della presenza e dell’alterazione.

In un contesto dove la riflessione sull’autenticità digitale si lega sempre più alla sicurezza dei dati, alla trasparenza e all’accessibilità delle fonti, progetti come questo mostrano quanto possa essere potente il riuso creativo dell’informazione. In particolare, quando i dati provengono da enti pubblici di ricerca come l’INFN o il CNR, ci troviamo davanti a un vero e proprio patrimonio informativo pubblico che può – e deve – essere valorizzato in modi nuovi, anche al di fuori dei canali tradizionali.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) definisce chiaramente le caratteristiche degli open data: devono essere accessibili a tutti, gratuiti e fruibili attraverso tecnologie digitali. In questo caso, quei dati “aperti” diventano materia culturale, oggetto di una rielaborazione artistica che produce valore aggiunto non solo in termini estetici, ma soprattutto in termini di consapevolezza ecologica e cittadinanza digitale.

Il progetto LAPSE ci invita dunque a riflettere su come i dati possano essere archiviati e condivisi in modo sostenibile, attraverso forme narrative che ampliano la nostra capacità di ascolto e comprensione. È un esempio concreto di come la sostenibilità digitale non sia solo un principio, ma una pratica: un modo di usare la tecnologia per creare connessioni responsabili, restituendo al digitale il suo ruolo di strumento al servizio del bene comune.

Per chi, come me, lavora nella Pubblica Amministrazione e si occupa di transizione digitale, questo approccio rappresenta una sfida e un’opportunità: ripensare i dati non solo come risorse da proteggere, ma anche come materiale vivo da riattivare, reinterpretare e condividere, in forme inclusive, creative e generative.

 

Educare all’ascolto: il laboratorio “Ecosistemi Sonori”

Il viaggio nei paesaggi sonori proposto da LAPSE non si esaurisce nello spazio dell’installazione artistica. Trova una sua naturale prosecuzione anche nel contesto educativo, con il laboratorio “Ecosistemi Sonori. Guidati dal suono”, condotto da Pier Alfeo con una scuola media.

In questo progetto, l’ascolto dei dati sonori registrati con idrofoni del CNR e della NOAA diventa punto di partenza per un’esperienza sensibile e manuale: i bambini sono guidati in una mappatura percettiva di suoni sottomarini, imparando a riconoscere cinque classi acustiche – tre naturali (animali grandi, animali piccoli, suoni geoacustici) e due antropiche (imbarcazioni, rumori umani) – e a rappresentare visivamente la presenza di tali classi e la loro percezione sonora con tasselli colorati.

Le attività alternano ascolto immersivo, momenti di riflessione collettiva e produzione manuale. Nella prima fase del laboratorio ad ogni partecipante viene chiesto di ritagliare “pixel” da un’immagine di rumore a cinque colori e di riorganizzarli, creando la propria partitura grafica del paesaggio sonoro percepito. L’immagine da ritagliare consiste in una matrice di cinque colori 21 x 29 pixels (sabbia, marrone, verde, azzurro, giallo), generata algoritmicamente, e disposti randomicamente.

Ognuno dei partecipanti riceve un’immagine unica, e dopo averla ritagliata in tasselli e avendoli ordinati per colore, li applicano su un foglio circolare, guidati dalla propria percezione, dall’alternarsi delle cinque classi acustiche, e dall’immaginazione, per i nuovi criteri di disposizione dei pixels nello spazio. Il risultato finale è un grande mosaico collettivo, una “danza circolare” di sensibilità individuali che compone un’unica rappresentazione condivisa del fondale acustico marino.

Il valore educativo di questa esperienza è duplice: da un lato, i bambini imparano a discriminare e comprendere il suono in modo attivo, sviluppando capacità di ascolto ridotto e attenzione alla biodiversità; dall’altro, acquisiscono strumenti per tradurre l’invisibile in forme visibili e creative, trasformando il dato in segno, gesto, memoria.

Il laboratorio mostra come la sostenibilità digitale possa diventare pratica educativa, costruita con strumenti semplici ma con concetti profondi: biodiversità, attenzione, memoria condivisa. Un esempio concreto di come il digitale possa educare senza schermi, attraverso l’ascolto, la manualità e l’immaginazione.

Conclusione

Se c’è un messaggio che emerge con forza da tutto questo, è che la sostenibilità digitale non è un concetto astratto. È una pratica quotidiana: un modo di abitare il digitale con consapevolezza, attenzione, responsabilità.

Significa scegliere di ascoltare i dati, non solo di analizzarli. Di valorizzarli come tracce del reale, non solo come risorse tecniche. Nel mio ruolo di Responsabile della Transizione Digitale, credo che la tecnologia debba essere strumento per rafforzare la qualità delle informazioni, la trasparenza dei processi, la memoria condivisa.

In un mondo di informazioni accelerate e fake news, archiviare non significa solo conservare, ma custodire il senso. E l’autenticità digitale diventa, allora, un gesto di cura: per ciò che resta, per ciò che ascoltiamo, per ciò che scegliamo di trasmettere.

 

Questo articolo è nato grazie al dialogo con l’artista Pier Alfeo, che ha condiviso riflessioni, materiali e approfondimenti a partire dal progetto LAPSE. Il confronto con lui ha arricchito il testo, offrendo un punto di vista diretto su ciò che accade quando la tecnologia diventa linguaggio percettivo e l’arte si confronta con la responsabilità dei dati.

Parlare di sostenibilità digitale significa anche questo: creare connessioni tra sguardi diversi, trasformare i dati in esperienze sensibili e costruire, insieme, nuove forme di autenticità.

Indice

PAROLE CHIAVE: Arte generativa / autenticità / Digital archiving / Educazione all’ascolto / Memoria digitale / Open data / sostenibilità digitale

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