• Vicedirettrice del progetto editoriale Digeat.

    Archivista presso Studio Legale Lisi, si occupa di consulenza nei processi di governance digitale e documentale e della redazione di articoli di settore.

La lettura di fondo che emerge dai contributi di questo numero è quella di una costante inquietudine rispetto al rischio di ritrovarsi smarriti di fronte al bivio tra intelligenza artigianale e digitale. La terribile profezia di un’intelligenza artificiale che ci soppianterà non deve farci scadere nell’abominio della tecnofagia, ossia nella furia divoratrice  di questa stessa figlia che abbiamo generato, per paura che ci soppianti. Dunque chiediamoci: esiste davvero una strada praticabile per dipanare la complessità?

Esiste davvero una strada praticabile per dipanare la complessità? Esiste una strada, oppure ne esistono molte che si intrecciano e si ramificano attraverso la Digital Compliance e l’Intelligenza artigianale, due direzioni apparentemente opposte che rappresentano attualmente un bivio nelle nostre vite professionali e personali.

Il bivio comporta questo: una scelta drastica e netta, senza possibilità di conciliazione o mediazione. Procedere verso la totale aderenza a un modello digitale pensato secondo regole, regolamenti, disposizioni, best practice, lacci e lacciuoli che più che lastricare una strada del tutto inesplorata sembrano impedirne la naturale pendenza, oppure continuare con forza ad avanzare in direzione ostinata e contraria, facendo esclusivamente leva sulle proprie umane forze?

D’altronde è proprio quella forma primordiale di intelligenza artigianale, di intuito se vogliamo, che ha consentito all’uomo di prevalere sfruttando la tecnologia a proprio vantaggio e non, viceversa, facendosi travolgere da essa e da altre variabili.

Forse però siamo andati troppo oltre, cercando di sfruttare il filone della tecnologia a nostro vantaggio, arrivando al punto in cui la complessità ci ha convinti di dover soccombere in favore di una ben più funzionale (e comoda) sostituzione. Ecco che la lettura di fondo che emerge dai diversi contributi è quella di una costante inquietudine rispetto al rischio di ritrovarsi smarriti ad un bivio che impone spesso una scelta netta e non contempla la “terza via” della conciliazione tra uomo e complessità e dunque tra intelligenza artigianale e digital compliance.

È come se avessimo in parte abdicato ad abbracciare la stessa complessità di cui siamo artefici, ripudiando una realtà figlia naturale delle nostre stesse conquiste, che giunta alle soglie della sua maturità si rivela “altro da noi”, rivendica la sua indipendenza, ci fa sentire superati, deride i nostri limiti e fa bella mostra delle sue indomite energie e ci costringe a indicibili sforzi per stare al suo passo. Eppure, continua a dipendere da noi e la responsabilità della sua crescita resta nostra. Non ci è permesso rigettare la tecnologia arrivando a compiere l’abominio della tecnofagia, ossia di divorare questa stessa figlia che abbiamo generato per paura che ci soppianti.

Qualcuno forse ricorderà un’opera di un’artista geniale e controverso, Franciso Goya, autore di “Saturno che divora i suoi figli” una pittura parietale[1] che riprende una macabra vicenda mitologica della cosmogonia greca.  Al titano Crono (Saturno) era stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato e privato del potere e per questo motivo iniziò a divorare la sua prole, ma la moglie Rea riuscì a trarre in salvo un solo neonato, Zeus, che sfuggito alla furia divoratrice del padre diventerà poi il signore supremo di tutti gli dei.

Ecco che la terribile profezia di un’intelligenza artificiale che ci soppianterà non deve farci scadere nella furia divoratrice di tutto quello che ci circonda, o al contrario, lasciare abdicare la salvezza di questa figlia del nostro tempo ad un intervento di fortuna, tale da farle prendere il sopravvento e soppiantarci (realmente) un giorno, fino a privarci del nostro umano potere.

I Greci ci avevano visto lungo come sempre e Goya si fa interprete di un messaggio di inquietudine filtrato attraverso una vicenda che si ripropone ciclicamente nella storia dell’uomo e ci porta, oggi, a essere in presenza di un bivio.

Eppure, se si continua a percepire questo percorso come un continuo alternarsi di dicotomie e strade che si separano, temo che il rischio sia quello di lasciarsi sovrastare da una tecnologia che diventi la più terribile delle tecnofagie e non lascerà spazio per ulteriori margini di evoluzione.

Gli articoli che leggerete propongono invece di trovare delle strade di salvezza, salvaguardando la via della conciliazione tra digitale ed umano, per una strada che riesca realmente ad abbracciare e dipanare la complessità del nostro tempo all’insegna di una vera compliance.

Auguro una buona lettura a nome dello Staff di Digitalaw.

 

 

[1] Nell’ultimo periodo della sua vita, in preda ai postumi di una terribile malattia che lo aveva reso sordo, Goya diede vita al ciclo delle “pitture nere” che allestivano la casa presso cui dimorò per qualche anno (La Quinta del sordo). Tra le  più macabre compare proprio “Saturno che divora i suoi figli”, che adornava la sua camera da letto.

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