Abstract
Dalla superfetazione normativa a un’idea di intendere l’IA, chiedendole non di creare, ma di migliorare ciò che gli esseri umani creano. L’universalità del diritto, capace di tutto conoscere e regolare, avviene mediante norme di interpretazione precise e costanti. L’interazione tra norme, in numero cangiante, ma comunque sempre finito, è potenzialmente infinita, ma l’art. 12 delle Preleggi non cambia. Appare come una regola o un insieme di leggi chimiche, applicabili infinite volte su sempre diverse combinazioni. Imparare a miscelare la sapienza umana al fine di migliorarne il lavoro, alle volte distratto o confuso, potrebbe rivelarsi utilissimo. La funzione migliorativa potrebbe così indurre l’IA verso un indirizzo lato sensu artigianale, proprio cioè di chi sa come fare tesoro di ogni conoscenza diversa, non specializzata, per creare opere sempre migliori.
La superfetazione normativa crea confusione
Il Vocabolario Treccani (online) descrive l’espressione “mettere il becco (in qualcosa)” come “immischiarsi, impicciarsi (di), intromettersi, mettere bocca (in, su)”, senza definirne l’origine che, però, si può presumere derivare dai becchi agli umani più comuni, ossia quelli delle galline, facili a mettere il becco su ogni novità intravista nel pollaio.
Il parallelismo, probabilmente poco rispettoso -e me ne scuso- viene quasi naturale, giacché all’approssimarsi di un nuovo, complicato tema quale l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, si assiste ad uno straripare di opinioni e provvedimenti che, a dire dei più esperti, sembrano provenire da consessi in cui pochi se ne intendono, eppur tutti vogliono dire la loro. Metter becco insomma.
In coscienza, ogni onorevole assemblea si premura di dire la propria perché comprende l’effetto dirompente che l’intelligenza artificiale potrà avere, in tempi anche brevi. Si assiste di già, dunque, all’emanazione di regole e principi, quasi come qualcuno avesse installato presso lorsignori una catena di montaggio.
Cosa se ne farà l’Europa di questa novella ipertrofia normativa, di questo rinnovato bizantinismo, non è dato sapere.
Tante norme per regolare un futuro incerto e, al momento, soprattutto straniero
Purtroppo o per fortuna, la tecnologia viaggia autonoma e, in questo campo, al momento quelli che tirano il gruppo sono gli extracomunitari, quindi quasi del tutto sordi ai principi che affannosamente si susseguono.
Lacci e lacciuoli, dunque, che con tanta ansia i molti nostri legislatori e regolamentatori si affannano a proporre e stabilire, superandosi l’un l’altro quasi come fosse una cronometro a squadre, potranno, probabilmente, influenzare gli sviluppi nostrani e, semmai ci sarà, l’attività di quel “CERN dell’Intelligenza Artificiale”, di cui recentemente si è iniziato a parlare.
Un altro effetto potrà essere, forse, quello di ispirare i legislatori d’oltreoceano che, magari proprio con l’aiuto di una IA, potranno fare un taglia e cuci (più taglia) delle nostre leggi, leggine, decreti, regolamenti e, fra poco, sentenze, locali e europee, per creare un prodotto più intellegibile, meno bizantino.
Nel frattempo, quelli che per lavoro specifico, anzi specializzato, hanno l’interesse e finanche il dovere di tenersi aggiornati giorno per giorno, lanciano tutti un allarme, chiedono un freno alla superfetazione delle norme, leggono e studiano con sforzo immane per capire quello che nemmeno il legislatore forse sapeva di votare e far promulgare.
Chi, invece, ha la fortuna di stare sugli spalti, di poter guardare – certamente interessato – questo spettacolo a volte grottesco, ha l’impressione di essere catapultato sulla scena di Gargantua e Pantagruel, in cui le cucine generano norme come fossero pietanze, i camerieri devono spiegarle tutte e qualcuno, chissà chi, gode nel mangiarsele.
Non si può proseguire, a questo punto, senza parafrasare un Conte, nostro Padre della Patria, che scrisse un discorso per il suo Re, che così potremmo reinterpretare: “Il nostro sapere, piccolo per diffusione, acquistò credito nei Consigli d’Europa perché grande per le idee che rappresenta, per la stima che ha ispirato. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo le leggi e i legislatori, non siamo insensibili al grido di dolore che da tanti studi legali d’Italia si leva verso di noi!”. Ebbene, anche il nostro sapere ha acquistato credito e ispirato stima, ma ciò non lo rende scevro dai pericoli, racchiusi nel “grido di dolore” che da tanti studi legali si leva verso di noi.
La necessità della sintesi come principio di durata nel tempo del diritto
La bellezza del Giudice civilista d’un tempo, ancora in parte garantita dall’articolo 102, comma 2 della nostra Costituzione – ai sensi del quale “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura” – risiedeva nella possibilità, o anche nel dovere di interessarsi delle più svariate materie per poter decidere di tutti i casi della vita civile. Si vuole dire, o forse raccontare, di come un Giudice scrupoloso, quando non era – come oggi – assillato dai numeri di sentenze e motivazioni da produrre ciascun mese, neanche fosse il Tribunale un’altra catena di montaggio, al di là delle perizie di parte aveva il diritto e il dovere di farsi una propria idea in ogni materia che fosse decisiva per risolvere il caso controverso.
In tal modo, oltre che rendere la professione dei non pigri più interessante, ciò consentiva alla verità giudiziale di avvicinarsi più facilmente a quella degli eventi sottoposti a giudizio. Pertanto, questa perenne commistione tra diritto e vita ci consente di auspicare una nuova operazione che tragga da diverse discipline una via maestra o quanto meno una rotta, pur generica.
In attesa di eventi e concrete applicazioni dell’intelligentissima IA (pare abbia un QI medio di 120), per migliorare la vita della comunità, laddove ce ne fosse una a servizio dei legislatori o almeno degli interpreti, si potrebbe chiedere di sintetizzare, in senso quasi chimico, una normativa chiara.
Una ipotetica via di sviluppo della tecnologia in senso naturale
Dopo l’informatica giuridica, l’IA potrebbe – chissà – contribuire a creare una chimica giuridica che, di per sé, non sarebbe estranea alla logica delle norme sull’interpretazione della Legge (art. 12 delle Preleggi), con la correlata, numerosissima Giurisprudenza.
Chimica organica e inorganica come diritto civile e penale, elementi, specie e miscele come capi, libri e codici, le reazioni come le interazioni, i legami chimici e i composti molecolari stabili o intermedi, come l’azione civile nel processo penale e così via. Ricostruzione fantasiosa, evidentemente, puro brainstorming individuale dello scrivente. Ma forse una via per spiegare il diritto all’IA, che non si riduca, cioè, ad un motore velocissimo di estrazione di norme e precedenti ed elaborazione di sintesi di questi.
Nell’interpretare una norma, il sopracitato articolo 12 ci spiega che “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” e, se non c’è una norma dedicata, si deve avere “riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” ovvero ai “principi generali dell’ordinamento giuridico”. Poiché questi semplici e perciò bellissimi principi sono naturalmente resi complessi dalla loro stessa essenza, dal significato giuridico di ciascuna parola, persino degli articoli determinativi o indeterminativi, giustificando l’esistenza di tanta e varia giurisprudenza, allora si perdonerebbe, forse, una proposta di usare l’IA per mettere ordine fra i tantissimi provvedimenti che si stanno susseguendo in questa materia.
Interdisciplinare per comprendere e migliorare il mondo
L’IA è, come si diceva, accreditata di un QI medio pari a 120. Ma ha fantasia, immaginazione, creatività?
In attesa di comprendere i meccanismi di queste doti prettamente umane o comunque naturali e, quindi, di poterle eventualmente trasferire alle macchine, potremmo chiedere a queste non di creare ma di migliorare ciò che gli esseri umani creano, in questo caso con molta confusione.
Tutte le scienze, del resto, rivendicano un legame col divino, ossia la capacità di poter spiegare tutto lo scibile e tutto l’esistente. Così, ad esempio, è Dio il “grande architetto”, così alla matematica sarebbe tutto riducibile, della chimica tutto si compone e il diritto tutto riduce alla ragione della civiltà pro tempore vincente.
Laddove, dunque, sia insegnata all’IA una vocazione migliorativa e non direttamente elaborativa, si potrebbero connettere queste macchine che destano meraviglia ad una utilità concreta, di cui si ha grossa necessità in certi campi e, in particolare, in quello della legislazione sull’IA stessa.
Si sarebbe così configurata una Intelligenza Artificiale di tipo Artigianale, giacché ciascuno sa che ogni artigiano, per fare il proprio mestiere, è al contempo chimico, fisico, architetto, giurista ecc., poiché conosce necessariamente le sostanze che usa e le loro interazioni, la solidità delle creazioni che immagina, la possibilità di venderle o, ad esempio, la necessità di tenerle per sé.
Così è per falegnami, restauratori o per i contadini che sanno anche di fasi lunari, astronomia, meteorologia ecc.
Conclusioni
Dunque, Intelligenza Artificiale Artigianale per un concreto aiuto all’umanità o alle singole comunità che la compongono e che passa, se quanto fin qui detto non è del tutto folle, attraverso una capacità di imparare a migliorare, prendendo da ciascuna arte, da ciascuna scienza, quei principi che, attraverso misteriose vie – alle volte istintive – conducono tutti gli esseri viventi, e in particolare gli umani, al continuo progresso.
PAROLE CHIAVE: artigianale / diritto / IA / interdisciplinare
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