• Vicedirettrice del Progetto DIGEAT.

    Responsabile Rubrica Futura. Fede, valori, Etica Digitale

    Responsabile Sezione Digital Culture

    Avvocato, esperta nella protezione dei dati personali, sviluppa consulenza in favore di imprese e privati. Ha conseguito il Master di alta specializzazione in “Data Protection Officer” promosso da Euroconference (Centro studi forense) con il patrocinio di ANORC Professioni presso la sede di Roma. Titolare dello Studio Legale D'Iorio che fornisce assistenza nelle materie di diritto civile con particolare approfondimento per le tematiche patrimoniali e familiari. Lo Studio Legale D'Iorio ospita la sede di Castellamare di Stabia di Studio Legale Lisi.

Il focus di questo numero 7 della Rivista Digeat stringe sulla “qualità del dato” attraverso analisi esatte e inconfutabili, zooma su processi e sottoprocessi capaci, al di là delle definizioni dovute, di convergere in un viaggio introspettivo fitto di risvolti che comunicano e delimitano, di volta in volta, profondità diverse. Passando in rassegna i 20 contributi, la stessa domanda sulla qualità si svela e si rinnova a seconda dell’impostazione dettata dall’autore tra un gioco di occhio e obiettivi puntati a colpire il suo imperativo a distanza, nei riflessi della vita privata e nelle infrastrutture delle smart city, negli uffici della Pubblica Amministrazione e nella democrazia che possa dirsi o no a misura di cittadino.

Scorrendo da un articolo all’altro, tra riflessioni e approfondimenti, l’argomento si offre al meglio a seconda della direzione della luce, più dura o morbida, portando all’obiettivo il primo piano di sé meglio scolpito di interessanti chiaroscuri.

E le ombre hanno poca tregua dinanzi alla dinamicità del pensiero che le incalza o che addirittura le anticipa per scrutarne ogni nodo di qualità dei sistemi costruiti, percorribili e ripercorribili a ritroso, in cui i dati sono validamente coinvolti. Ci riesce Angela Petraglia affrontando, in un podcast con il suo ospite Mirko Pallera, un’intervista che passa in rassegna i dettami del marketing contemporaneo nella sua qualificazione di “marketing transpersonale”, che innova il modo stesso di intendere la comunicazione e che di questi tempi ha grande risonanza in rapporto alle forme di diffusione sempre più aggressive del marketing digitale, lasciando intendere che l’approccio etico è urgente come e più di quello giuridico.

Le sfumature si moltiplicano sulla tela della qualità dei dati e della comunicazione che prosegue con il racconto di Maria Cristina Marroni dove duettano forma e sostanza, linguaggio e contenuto in una comprensione più sottile dove “La qualità del linguaggio è l’attrattore prìncipe, è il seduttore in chief, è la misura di valore ed è il carato – vale a dire la misura di purezza – con il quale attribuire peso e consistenza a tutto. Il vino è una spremuta d’uva fermentata, ma in quanto tale ha un valore venale ridicolmente basso. È il linguaggio che ne fa filosofia: dal terroir alla nobiltà del vitigno, dal blasone della cantina all’arte dell’affinamento. Di talché il vino non si beve più, ma è “di pronta beva”, è ostico, chiuso, oscuro e misterioso, pronto ad aprirsi solo dopo adeguata e iniziatica ossigenazione che ne restituisca il respiro, il soffio vitale.”

E inebriati da un calice di aromi che spaziano e variano per visione personale, sensibilità e cultura di ogni ambasciatore che ha contribuito a dare voce a questo numero, è doveroso chiederci: Siamo pronti a diventare testimoni di una qualità che sedimenta nello scorrere lento, responsabile e sostenibile per la costruzione dei dati e di un pensiero critico?

È di tutta evidenza che oggi è messa in crisi la stessa capacità di pensare.

Ci siamo arresi a una tempesta mediatica di messaggi di ogni tipo, informazioni che una volta avrebbero avuto un significato preciso e la capacità di innescare un’emozione profonda in noi sia in senso positivo sia in senso negativo e avrebbero avuto la capacità di provocare il nostro stupore o anche il nostro senso dell’orrore. Invece questa tempesta mediatica di messaggi assolutamente uguali e contrari ci sta togliendo la libertà di stupirci, in senso positivo e non. E non c’è più concesso di indignarci per qualcosa per cui varrebbe la pena farlo.

Una società anestetizzata davanti all’ingiustizia, che non prova ripugnanza davanti alla violenza, che non si commuove davanti alla bellezza è una società che si è consegnata al peggiore asservimento o al più vile qualunquismo. Nel momento in cui questa dimensione ci è sottratta, viene minata la nostra stessa natura di esseri umani e con questo ci viene sottratta la capacità di formare una nostra opinione, dei nostri punti di riferimento con cui coltivare e costruire dei valori di qualità che abbiano un minimo di concretezza e di salvezza per nutrire le coscienze.

Ne sono investiti tutti i campi, senza esclusione alcuna, con rischi alti di natura psicologica, sociale, politica.
Legando insieme i contributi versati in questo numero, potrebbe elevarsi una sola sintesi concentrata e corale che mette d’accordo tutti gli autori: La vera qualità del dato, dell’informazione, della comunicazione e il suo imperativo sotteso si misurano proprio nella capacità di formare e nutrire coscienze e non solo statistiche.

I temi affrontati certamente non si esauriscono tra le righe di un editoriale perché meritano tempo, ascolto e confronto dal vivo e, con l’occasione Vi invito, anche a nome dello Staff del Progetto Digeat, a partecipare al Festival che stiamo preparando nell’incantevole cornice di Lecce nei giorni 27, 28 e 29 novembre prossimi dal titolo “A Momentary Lapse of Reason“. Qui il link dell’evento, in continuo aggiornamento.

Un invito alla buona gestione di luci e ombre a cui ciascuno di noi è chiamato con responsabilità e sollecitudine per evitare che nella fotografia del futuro ci siano solo immagini piatte.

 

“Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.”
(Henri Cartier-Bresson)

 

PAROLE CHIAVE: dati / digitale / qualità / società digitale

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